Trasversale • Pulsazione • Ritmo | AUGUSTO BETTI

dal 10 maggio sino al 30 giugno 2022

Galleria Paradisoterrestre, Bologna

Marchio storico del design italiano, Paradisoterrestre è felice di presentare Trasversale • Pulsazione • Ritmo, mostra retrospettiva dedicata all’artista faentino Augusto Betti (1919-2013), nell’ambito di ART CITY Bologna 2022 in occasione di ARTEFIERA. L’intento della mostra negli spazi della Galleria Paradisoterrestre in Via De’ Musei 4 a Bologna è offrire al pubblico l’opportunità di (ri)scoprire questo straordinario artista, grazie al prezioso contributo della figlia Cristiana Betti e al patrocinio del Comune di Faenza, città natale di Augusto Betti, in cui visse e operò per tutta la sua vita.

“Nel mio lavoro di costante ricerca di pezzi storici del design, mi sono imbattuto in alcuni incredibili oggetti realizzati da Augusto Betti. Studiando la sua biografia, ho scoperto che questa eccezionale produzione è stata solo una piccola parentesi nella sua vita creativa. La grandezza dell’autore è chiaramente intuibile già dai suoi pezzi di design, che definirei come delle perle rare. Grazie alla figlia Cristiana, ho potuto approfondire la conoscenza dell’intera produzione di Augusto Betti, anche e soprattutto come artista. Questa che per me è stata – ma credo che per molti altri sarà – una vera e propria scoperta, non fa altro che confermare la visionaria intuizione gaviniana di arte e design come imprescindibile binomio.” – Gherardo Tonelli, titolare di Paradisoterrestre.

La produzione artistica di Betti, sempre affiancata dall’insegnamento, vede intrecciarsi teoria orgonica reichiana, attenzione ai materiali, coinvolgimento dell’osservatore, rilevanza dell’aspetto casuale e dell’intuizione nel processo creativo e progettuale, in una commistione di teoria e pratica ben sintetizzata dalle parole dell’artista “[Abbiamo un perfetto esempio di come] nella progettazione il lavoro delle mani si integri con quello della mente, suggerendo nuove soluzioni e di quanto sia importante lasciarsi andare, non intenzionalmente, ma attraverso il fare”. Proprio da questa considerazione, nasce durante una lezione ai suoi allievi alla fine degli anni ’60 la poltrona Noodle. Per spiegare l’importanza dei gesti liberi nella generazione delle idee, Betti prende uno dei suoi segni e gli dona tridimensionalità trasformandolo in una poltrona. Amante delle tagliatelle fatte a mano, rivede nella sua creazione la stessa forma e così la chiama Noodle, sottolineando anche nella scelta del nome l’importanza di lasciare spazio alle intuizioni. La mostra diviene quindi l’occasione per presentare in anteprima la riedizione Paradisoterrestre della poltrona Noodle.

Le tre parole chiave che compongono il titolo della mostra sono allo stesso tempo una dichiarazione poetica e una guida all’esposizione.

“Trasversale”, “Pulsazione” e “Ritmo” sono concetti la cui spiegazione viene affidata alle parole dell’artista e alle opere esposte. In mostra i risultati straordinari delle ricerche di Betti: dalle prime sperimentazioni con opere della serie “cassette” (1959-1961), alle sculture in resina e vetroresina Pulsazioni (1964), Scatola dei sentimenti (1964), Struttura equilibrante (1964), Obelisco (1965), Ballerina (1965), Vibrazioni (1967), Orgonoscopio (1967), Camera con lenti (1969); tra le opere di design: poltrona Noodle (1967, Edizione Paradisoterrestre 2022), sedia e tavolo Austere (1967),sedia Foemina (1967), poltrona e divano Prisma (1971), sedia Ciclope (1972).

Apprezzato da suoi illustri coevi – tra cui il critico d’arte Giulio Carlo Argan, il grande artista Lucio Fontana, il fondatore del Centro Pio Manzù Gerardo Filiberto Dasi – per ritrosia, modestia e carattere il lavoro di Betti è rimasto per lo più sconosciuto. Tra i suoi appunti si può leggere: “Non ho mai partecipato a mostre, tantomeno a concorsi, se non dietro pressione”. Una questione – quella della creatività e della progettualità – quasi privata, condivisa principalmente con i suoi allievi. Una ricerca proiettata al futuro, che affonda le radici nel periodo storico in cui è stata intrapresa ma allo stesso tempo attualissima che ora, grazie alla mostra Trasversale • Pulsazione • Ritmo, Paradisoterrestre auspica venga giustamente riconosciuta. E che Betti ci perdoni ma – come lui – siamo fermamente convinti che “L’opera d’arte è modello di comportamento che resta disponibile per chi vuole usufruirne. […] Le mie opere non sono un punto di arrivo. Mi auguro che i giovani possano trarre da esse ulteriori deduzioni.”

Si ringraziano: Cristiana Betti e Sergio Callegari; Arch. Silvia Maggi e Bianca Sangiorgi.

AUGUSTO BETTI (Faenza, RA 1919 – Vidracco, TO 2013)

Augusto Betti ha un’infanzia molto dura: rimasto orfano a soli nove anni, essendo il maggiore dei suoi fratelli è costretto a lavorare nella bottega ceramica Focaccia e Melandri. Non può proseguire gli studi che ama, riesce però a frequentare, dopo il lavoro, i corsi serali della locale Scuola Comunale di Disegno. Nel 1935, inizia a frequentare un corso di costruzione meccanica presso l’Istituto Aeronautico di Forlì. Partecipa alla Seconda Guerra Mondiale come motorista del Primo Stormo da Caccia di Udine, con missioni in Nord Africa, Grecia, Algeria. Alla fine della guerra inizia a dipingere. Il suo primo quadro è un ritratto della giovanissima moglie Il ritratto di Jole del 1945.

Nel 1946 tiene la sua prima personale di pittura alla Galleria Gamberini di Forlì. Nel 1947 ha la possibilità di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ha per insegnanti, tra gli altri, Giorgio Morandi e Giovanni Romagnoli. Approfondisce in maniera particolare la tecnica dell’affresco. Mentre frequenta l’accademia, al pomeriggio lavora nel laboratorio di restauro pittorico di Decio Podio, frequentato dai maggiori artisti bolognesi dell’epoca, dove acquisisce una notevole sensibilità e padronanza dei colori. Nel periodo successivo all’accademia partecipa a una serie di mostre di pittura figurativa.

Nonostante il successo, anche commerciale, di queste esposizioni, nel 1955 decide di aprire un’attività con la moglie per essere libero di dedicarsi alla sperimentazione in campo artistico. Le sue prime opere astratte sono quelle che lui chiama “cassette”, perché fatte a partire da scatole di legno quadrate, larghe circa un metro e profonde una dozzina di centimetri, chiuse da materiale trasparente, nelle quali si diverte ad inserire elementi che creano giochi di luce e di movimento mutevoli a seconda del punto di vista. Inizia anche a sperimentare da vero pioniere le innumerevoli possibilità dei nuovi materiali di sintesi, che si procura direttamente alla Bayer, alla Hoechst o alla B.P.D. di Colleferro, focalizzandosi in particolare su trasparenze, colori ed effetti delle lenti. Di quegli anni sono anche le “semisfere”, realizzate usando come stampo il fondo di damigiane, che vengono appese e proiettano immagini colorate in movimento sulle pareti. Riprenderà la produzione di queste “semisfere” negli ultimi anni della sua vita. Per lui l’arte non è una ricerca estetica, ma emozionale, che uscendo dai canoni classici lo porta ad esplorare in maniera profonda diversi ambiti, dall’energia alla psicologia, ai misteri della vita. Il suo lavoro incontra gli interessi di Silvio Ceccato, direttore del Centro di Cibernetica e di Attività Linguistiche dell’Università di Milano, col quale collaborerà per diversi anni. Collabora strettamente per un periodo molto lungo anche con il Centro Pio Manzù di Rimini, contribuendo tra l’altro all’organizzazione dei Convegni Internazionali Artisti Critici e Studiosi d’Arte, in occasione dei quali conosce i maggiori artisti e critici d’arte dell’epoca, con diversi dei quali stringe un rapporto di amicizia.

Nel 1965 viene chiamato ad insegnare Disegno Professionale all’Istituto d’Arte di Faenza, incarico che manterrà fino al 1984. Particolarmente interessato ai processi per mezzo dei quali si sviluppa la creatività, che riteneva insita in ogni essere umano fin dall’infanzia, ha effettuato approfonditi studi personali in questo campo. I suoi allievi spesso passavano rapidamente da un livello mediocre ad ottimi risultati. Proprio per fornire ad essi esempi pratici si dedica al design: nel 1967 poltrona Noodle, lampada da terra Parete luce, tavolo e sedia Foemina e Austere e tavolino Glass, nel 1968 divano e poltrona Flou e poltrona Oscillante, nel 1971 divano e poltrona Prisma e nel 1972 sedia Ciclope, tutti realizzati con la ditta Habitat Sintoni di Faenza, con la quale partecipa alle più importanti esposizioni del settore. Ricercato da molte aziende, in Italia e all’estero, rifiuta perché non vuole lasciare la sua città natale.

Nel 1967 partecipa con Orgonoscopio alla “Sesta Biennale d’arte Repubblica di San Marino – Nuove tecniche d’Immagine” presieduta da Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Umbro Apollonio, Gian Alberto dall’Acqua. Nel 1968 partecipa alla mostra milanese Achromes al fianco di Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Gianni Colombo, Lucio Fontana, Piero Manzoni e altri. Nel 1980 assume la cattedra di Teoria della Percezione all’Istituto Industrie Artistiche di Faenza che terrà fino al 1986. Nel 2001 il Comune di Faenza gli dedica la mostra Forme della vita al Palazzo delle Esposizioni e un’altra esposizione nel 2006 alla Galleria della Molinella. Al 2003 risale invece la mostra Riflessi promossa dal Comune di Palazzuolo sul Senio.

Per Augusto Betti l’arte è stata un percorso filosofico e spirituale, che l’ha condotto ad una comprensione molto profonda dei misteri della vita e del mondo.

Per info:

Paradisoterrestre, Bologna

+39 051 506 1212

press@paradisoterrestre.it

paradisoterrestre.it

 

Augusto Betti – Oggetti di design del 1967. Courtesy Paradisoterrestre

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