di Loredana Barillaro |
Marco, i tuoi lavori più recenti raffigurano direi esclusivamente vasi con fiori, che tipo di ricerca stai conducendo in questa direzione?
Marco La Rocca/ E’ una serie iniziata intorno al 2019. La natura morta mi interessa per due motivi su tutti ovvero il memento mori e che è un tema tradizionale. Il tempo che scorre, la vita che viene raffigurata in un istante che è passato e che non esiste più. Siamo finiti, nasciamo e moriremo ma senza troppe paranoie, voglio fare i conti con questa cosa. Il secondo invece perché mi piace farmi del male e affrontare un tema comune e nella memoria collettiva per trovare una chiave personale e creare il mio spazio in mezzo ai milioni di maestri della storia e anche artisti amatoriali.
Il vaso con fiori, ovvero la natura morta è l’immagine che mi aiuta, ad oggi più di tutte le altre, a cristallizzare momenti della mia vita, le emozioni, le sensazioni e, quando si riesce, a riflettere quelle di chi guarderà l’opera. Cerco di trovare nuove pennellate, abbinamenti cromatici che possano smuovere nuove sensazioni in primis a me che dipingo. La mia pittura è una continua ricerca, costante e perpetua, per me è come un respiro, essenziale ed esistenziale. La direzione è quindi quella della ricerca, vivere e condividere. Vivere sostanzialmente, e trovare nuove domande più che nuove risposte. Odio quei guru che danno risposte sulla vita, che scrivono di quanto tutto sia già risolto e che vogliono far passare il messaggio che ci siano già tutte le risposte. Questi brevi concetti dovrebbero aiutare a far capire dove sta andando la mia pittura ossia verso il tirarsi su le maniche, leggere, amare, scrivere, dipingere, disegnare, andare alle mostre. Senza limiti.
Come già detto ti confronti con temi iconici della pittura di genere e quindi della tradizione. C’è una qualche difficoltà a farsi avanti con questo lavoro in un contesto in cui pittura e tradizione talora non sono viste di “buon occhio”?
MLR/ Io sono pittore e dipingo. Per me questa è la cosa più importante. Non nego la difficoltà di farsi avanti con il tema della natura morta, ma sono sicuro che sia questo quello che fa e farà la differenza. Non voglio sembrare arrogante, ma non mi interessa essere visto di “buon occhio” se vogliamo dirla tutta. Affrontare la tradizione è per me un’opportunità perché è il nostro legame con il passato, un filo che ci connette a generazioni di artisti che hanno esplorato e definito il nostro concetto di bellezza. Non si sfugge ma è proprio questo che mi spinge a studiare, a passare in studio tanto tempo e crescere insieme ai miei lavori. Voglio fare solo cose a cui tengo, il resto non ha alcun valore.
Vaso con fiori che, facendo un passo indietro, diventa una serie di “vasi di fiori” realizzati in ceramica a sua volta opere finemente dipinte, me ne parli?
MLR/ Ho iniziato diversi anni fa ad occuparmi di ceramica ma il mio approccio è molto fanciullesco e sognante. Lavorare con la ceramica mi piace per diverse ragioni: si parte dal rimodellare la terra, darle nuova forma e io amo le forme dei vasi classici forse sempre per la volontà di rileggere la tradizione. Mi permettono di sperimentare pittoricamente con lo spazio e li concepisco come sculture e non oggetti di arredo. Mi piace, inoltre, il compromesso di lavorare con colori che solo dopo la cottura a temperature molto alte si mostrano nella loro massima bellezza. Infine, pensarli liberi da schemi visivi, per me sono come poesie scritte di getto.
Molti dei titoli dei tuoi dipinti includono il nome di Alda Merini, cos’è che ti lega a questa così complessa personalità?
MLR/ Sì è vero, diversi portano il suo nome. Mi piace la poesia in generale, mi evoca immagini ma anche sapori, odori, ricordi, idee e suggestioni. Pensare oltre al dipinto mi ha sbloccato una sorta di nuovo metodo di lavoro, un nuovo schema visivo da assecondare con pennellate, colature, abbinamenti di colore e tecniche. Alda Merini è una figura che mi ha affascinato per la sua capacità di trasformare il dolore in poesia, di andare negli abissi delle emozioni ma anche di usare la penna come un pugnale o un martello, in base al momento, come un’esploratrice, senza divagare troppo. I miei dipinti sono un omaggio ad una persona che mi ha dato l’idea di aver vissuto ogni respiro per la poesia, come unica ragione e come una sorta di strumento per la redenzione.
Dall’alto: Untitled, 2024. Tecnica mista su tela, 170×170 cm. Alda Merini n.9”, 2024. Tecnica mista su tela, 105×100 cm. Alda Merini n.8”, 2024- Tecnica mista su tela, 180×150 cm. Per tutte courtesy l’artista.
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