LETTURA DI UN’IMMAGINE – Lucrezia Zema – Serena Carbone
Ho fatto un gioco e guardando uno scatto ho provato a rigettare nero su bianco quel che l’immagine mi offriva. Certo, ho scelto di ritagliare quello scorcio di realtà con l’attenzione che il momento mi dava, ma tante e molteplici visioni sono uscite fuori. Ed ecco il rosso, il sangue, l’organico, il sintetico, il cambiamento, il lavaggio, l’obsolescenza, la forma serpentinata, e ancora una mano, il collo, le righe, il nero e il bianco, l’acqua e… tutto scorre.
Mi sposto sulle altre foto e vedo dettagli, fenomeni, trasgressioni, specchi, trucchi, tristezza, fantasia, algido distacco, sogno, speranza, solitudine di un ordine confuso.
È una “cosa delicata” quella che ho davanti. Nonostante il soggetto
suggerisca forza, vigore, coraggio e struttura, finemente incesellata, c’è qualcosa oltre la quale lo sguardo si arrende alla ricerca del particolare e viene insospettito da un alone di è stato. La nostalgia di un tempo inaccessibile se non attraverso lo stesso scatto, fa pensare ad una irriverenza irreale.
Ogni immagine mantiene in sé la compiutezza dell’attimo. Senza narrazione, senza sovrastrutture critiche o letterarie. L’immagine si racconta nel momento in cui appare, e potrebbe essere ovunque, anche dietro il muro che si alza oltre le mie spalle e nella sua estraneità pare ancora più vicina, quasi intima.
Si potrebbe dire sulle “cose delicate” come mani di donna sanno tramare e intrecciare. La mestizia che lascia un alone di attesa, il gesto, il rituale nel quale c’è il riconoscimento di genere.
Un rituale che viene qui tradito in nome di un’ambivalenza che nulla ha a che vedere con la mera trasgressione. Ricorda, piuttosto, un punto, ben custodito, più nascosto e più profondo, ciò che tutti sanno esistere ma che ben si cela allo sguardo altrui.
Quel limite in cui la possibilità diviene necessità e nessuno vorrebbe essere visto, immortalato in quell’istante che si posa al nostro fianco sussurrando la sua non–esistenza. Si potrebbe trovare la certezza e il non sostenibile paragone in Julia Margaret Cameron, Francesca Woodman o Nan Goldin, ma sarebbe trovare la giustificazione a ciò che giustificazione non vuole. Perché vibra nello scatto la sua impermanenza al tempo, alla moda, al gusto, all’esistenza.