IL CODICE COSTRETTO DEL VISIBILE
Angela Pellicanò – Serena Carbone
UN BUCO DI LUCE…, 2011. Tecnica mista su tela, 200X100 cm.
Courtesy Galleria Technè Contemporary Art, Reggio Calabria.
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“Ogni cella parla della paura, la paura è dolore” scrive Louise Bourgeois a proposito delle sue Cells, ampie stanze circondate da recinzioni di rete, mobili ed enigmatici specchi. Lo stesso si potrebbe dire in riferimento alla pittura di Angela Pellicanò, dove ogni tela è una cella, dove ogni oggetto o personaggio che vi abita è scevro da qualunque vincolo gravitazionale e fluttua nel vuoto. Anche se la figura ritorna a far capolino, nei suoi ultimi lavori non vi è traccia di individui reali, i suoi personaggi sono cibernetici, deformati, trasformati, un po’ animali e un po’ uomini, corpi transgenici il cui DNA è stato ricreato in laboratorio. Sono esseri che nella loro presenza sconosciuta rappresentano un’assenza, un vuoto che fa scattare la memoria. La memoria che non trova presenze è paura, e la paura diviene dolore. Nei suoi lavori non c’è armonia se per armonia si intende rassicurante equilibrio e non c’è equilibrio se “l’equilibrio della vita estetica è continuamente instabile” (cit. R. G. Collingwood). La percezione di Angela Pellicanò, classe ‘63, nonostante le contaminazioni con le immagini della rete, il video e la performance, si estende sempre tramite il senso della vista, collocandosi, in tal modo, all’interno di quel filone che sceglie la pittura anche quando se ne decretava la morte.
Del resto tante sono le mostre
(solo a Parigi nell’arco del biennio 2002/2003: Urgent Peinting al Musée d’Art Modern de la Ville de Paris e Chèr Peintre al Centre Pompidou) che puntano l’attenzione sulla pittura e dimostrano che essa è viva e più concettuale che mai, nonostante il dilagare dei “nuovi media” del precedente decennio. E questo perché come scrive Nicolas Bourriaud nel catalogo alla mostra Le Capital del 1999: “non è la pittura nella sua totalità che ci interessa, ma gli artisti capaci
di produrre qualcosa di interessante”.
(solo a Parigi nell’arco del biennio 2002/2003: Urgent Peinting al Musée d’Art Modern de la Ville de Paris e Chèr Peintre al Centre Pompidou) che puntano l’attenzione sulla pittura e dimostrano che essa è viva e più concettuale che mai, nonostante il dilagare dei “nuovi media” del precedente decennio. E questo perché come scrive Nicolas Bourriaud nel catalogo alla mostra Le Capital del 1999: “non è la pittura nella sua totalità che ci interessa, ma gli artisti capaci
di produrre qualcosa di interessante”.
Troppo comodo individuare in Angela Pellicanò soltanto le venature mediterranee e una sensibilità tutta al femminile. Se nei lavori degli anni Novanta le matriarche spodestate di trono e potere si ribellano mostrando vagine offese, successivamente questi corpi senza dimora si collocano in un più complesso gioco delle parti, in cui il turbamento di genere risponde al mondo sensibile, in cui i riti ortodossi si fondono con le merci occidentali, mentre cupe linee gotiche scendono a valle mostrando il lato più spigoloso e inquieto.
p. 2 SMALL ZINE n. 0 Ottobre – Dicembre 2011
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