di Elisabetta Roncati |
Giovane artista ceco-americana nata ad Amsterdam e residente a Roma, Marta Abbott è riuscita ad amalgamare nella sua pratica creativa differenti tradizioni culturali grazie ad un unico trait d’union: il rapporto dell’essere umano con l’ambiente. Dall’osservazione dei dettagli, del microcosmo tanto caro ai pittori olandesi, è sorto un filone di ricerca che ricalca passo passo sia la sua storia personale che la quotidianità universale, caratterizzata dalle preoccupazioni per il cambiamento climatico e dalla necessità di un maggior rispetto per la natura. Inoltre, il suo essere entrata in contatto con una marcata multiculturalità è un ottimo esempio di come la miscellanea di impulsi sia uno degli elementi principali della creatività. Cresciuta negli Stati Uniti frequentando lo studio della madre artista, dopo un percorso universitario in arte, Marta si è dedicata al restauro e al design floreale per poi approdare, in un secondo momento, alla pittura. Nelle sue opere il rapporto dell’essere umano con l’ambiente viene indagato attraverso l’utilizzo di sostanze organiche e botaniche al posto di inchiostri e pigmenti. La sperimentazione è essenziale: utilizzando l’essenza stessa della materia organica, ovvero il suo linguaggio costituito da colore e composizione biologica, il risultato finale non è decretabile a priori. L’organico trova così un canale di comunicazione per entrare in contatto con l’umano. Per approdare a questo tipo di ricerca è stata essenziale per Marta l’esperienza di studio e pratica anche in Italia, prima a Firenze, dove ha partecipato a numerose residenze, e poi a Roma. La fascinazione per il mondo naturale l’ha portata addirittura a raccogliere la polvere di marmo delle cave di Carrara che, mescolata ad altri elementi, si è trasformata in inchiostro per dar vita ad una nuova serie di lavori, uno dei quali è stato finalista all’ultimo Premio Cramum. Come un novello demiurgo, Marta tenta di controllare gli elementi naturali inusuali che stanno alla base del suo processo pittorico per dar forma alle tele dopo un processo che potremmo definire di caos “controllato”. Ed è così che nelle composizioni entrano in gioco non solo materiali organici, ma anche elementi della tradizione come olii ed acqua che l’aiutano a fissare le cromie su carta e canvas. La decontestualizzazione delle sostanze naturali è dunque un’altra delle caratteristiche che risaltano analizzando le opere dell’artista: in realtà si tratta di un’indagine approfondita dei legami primitivi che uniscono uomo e natura e che sfocia in un linguaggio del tutto nuovo. Due mondi che solo in apparenza sono separati e che finalmente arrivano a ricongiungersi, mettendo in discussione la nostra percezione dell’ambiente che ci circonda. Marta ci aiuta a reinterpretarlo, ad entrare in connessione con esso sviluppando una nuova forma di linguaggio. Riannoda le fila di un rapporto che il forsennato sviluppo tecnologico degli ultimi decenni ha contribuito a mettere in secondo piano. Osservando le sue opere affiorano universi paralleli che lasciano libera interpretazione alla fantasia. Non solo il materiale, ma anche l’immateriale entra in gioco nei lavori della Abbott: lo spirito, l’esperienza, il tempo diventano altresì concetti imprescindibili. E così, ammirando i suoi lavori, lo spettatore si posiziona inconsciamente al di fuori delle categorie prestabilite: il concetto lascia spazio all’intuizione, l’artefatto si converte in spontaneità e la natura, finalmente, riprende il posto di primo piano che le spetta.
MARBLE, FLOWERS, FLESH. Marble dust, flowers on paper, 45×56 cm. Courtesy dell’artista.
© 2022 BOX ART & CO.
Pubblicato alla pagina del n. 44, ottobre-dicembre 2022, di SMALL ZINE.