UNA RICERCA SENSIBILE
Sveva Angeletti
– Davide Silvioli
Uno degli aspetti più ricorsivi e, allo stato delle cose, sembra lecito sostenere, maggiormente consolidati proposti dalla contemporaneità è l’attitudine a un certo grado di interdisciplinarità. Tuttavia, quando in tanta pluralità stilistica si riscontra logica speculativa verso i contenuti affrontati e consapevolezza dei mezzi impiegati, come nel lavoro di Sveva Angeletti, è possibile cogliere, seppure nel rispetto delle specificità di ogni singolo progetto, la primogenitura di una medesima sensibilità. L’artista approfondisce il complesso sistema di relazioni, emotive e fisiche, che disciplinano i rapporti fra individui, investigandone la natura più profonda, le cause, le reazioni e le manifestazioni. Coltivando un approccio eterogeneo nei confronti della pratica artistica, lo strumento narrativo principale da lei adottato è la fotografia. Difatti, in molti suoi esiti la si ritrova commistionata ad altri media, sfociando, frequentemente, in installazioni. Interessante osservare come lei non segua metodi mirati a finalità già stabilite, lasciandosi guidare dalla sperimentazione e dal momento creativo stesso verso destinazioni estetiche anche, inizialmente, inaspettate. In A casa ovunque (2015), l’immagine e l’oggetto acquisiscono un valore esistenziale derivante dal vissuto dell’autrice, tuttavia emotivamente permeabile da chiunque, poiché tutti siamo depositari di un’esperienza di vita formata dal susseguirsi di frammenti e parzialità. Con Fotografia (2016), l’obiettivo qualifica i dettagli di parti anatomiche, tuttavia prevedendo un certo margine di ambiguità nella decifrazione dell’immagine finale, tale da conferire alla composizione pesantezza e leggerezza al contempo; si è come al cospetto di un corpo inerme, si è come di fronte a un orizzonte. Simile senso di indeterminazione si rileva in Fiuto la for- ma ma sul più bello mi distraggo (2017), qui la corporeità è indagata negli effetti visivi e chiaroscurali delle sue morfologie. L’uso della fotografia in chiave narrativa è confermato in Dal ciglio dell’ombra mi sporgo e svanisco (2018), dove delle istantanee dall’aura introspettiva e intima, inserite in esili teche trasparenti, raccontano brani di vita e moti dell’animo. Con Niente (2019), sottili lastre di vetro poggiate a parete recanti la scritta “Niente”, l’artista definisce una perfetta tautologia, abbandonando l’immagine a favore di una totale autoreferenzialità linguistica fra gli elementi utilizzati e la semantica dell’opera, forse intraprendendo una direzione di ricerca ulteriore. In merito ai risultati più recenti, come le tre opere presentate in occasione della mostra “Quando cade la magia rimane la disinvoltura”, curata da Porter Ducrist presso Spazio in Situ, a Roma, l’autrice sembra attribuire maggiore fisicità al proprio lavoro. Conseguimenti come Dieci colpi 5 €, !, e Natura morta, tutti del 2020, destrutturano idealmente e materialmente uno stand di quelli dove si spara a dei bersagli presenti nei parchi divertimento. In questa famiglia di lavori, Sveva Angeletti sembra perpetuare, con un alfabeto nuovo caratterizzato sì dalla fotografia ma unita alla corruttibilità di un oggetto aperto a nuovi orientamenti di significato, la propria riflessione sulle forme di interazione umana: nel gioco della vita, l’attuale precarietà delle relazioni ci rende tutti bersaglio di qualcuno. Non c’è vittoria che ci possa riscattare.
!, 2020. Foto © Marco De Rosa. Courtesy dell’artista.
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