PELLE DIGITALE
Felice Gualtieri
– Loredana Barillaro
Loredana Barillaro/ Felice, che cos’è Laboff?
Felice Gualtieri/ La definizione corretta di Laboff è quella di nodo post-urbano che risponde a logiche di esternalità e di margine. Se riflettiamo su un livello teorico, assume significato soltanto all’interno dei processi di glocalizzazione che si attivano con l’avvento pieno dell’era digitale e della terza rivoluzione industriale. Detto così, forse, ad alcuni può risultare complicato da apprendere. In altre parole è un laboratorio/atelier (local) situato a Trebisacce, dove svolgo la professione di architetto e una serie di altre attività, in stretta interazione, “agganciato” allo spazio digitale (global). Così otteniamo: local + global = glocal. Oltre ad essere glocal un laboff è anche esterno. Sul concetto di esternalità ci sarebbe molto da dire, per ora basti sapere che si situa fuori dalle rotte e dalle sfere d’influenza delle città tradizionali più forti.
LB/ Parlami di “Skin on my way”…
FG/ L’idea di “Skin on my way” è nata insieme all’amico fotografo Francesco Delia con il quale volevo dare un contributo alla programmazione culturale estiva di Trebisacce. Abbiamo scelto di trattare un argomento che, in un certo senso, come calabresi è sotto gli occhi di tutti: l’incompiuto edilizio. Il non finito qui da noi, non esagero a definirlo un tema “classico”; si trattava di trovare un taglio diverso, originale, senza cadere in retoriche sentite a sufficienza su un territorio già abbastanza compromesso. E così abbiamo pensato ad una pelle digitale che, come nella realtà aumentata, creasse un ulteriore livello psichico nel pubblico fino alla fondazione di un nuovo immaginario collettivo e condiviso dal quale partire per eventuali sviluppi futuri.
LB/ “La centralità dello spazio pubblico” sembra essere al centro delle vostre intuizioni…
FG/ Si, ma dobbiamo chiederci che tipo di spazio pubblico… è sempre uno spazio pubblico masticato dal Laboff, quindi entrato nella dimensione “uniduale” del glocalismo, che non significa necessariamente immateriale, ma soprattutto interattivo, cioè che evolve nel suo rapporto con il partner digitale, e di cui noi, in questo momento, non abbiamo il minimo controllo. Al di là dell’unica azione che ci è concessa, cioè accendere l’interruttore, ci comportiamo quasi come spettatori che al massimo cercano di correggere e deviare i rimbalzi reattivi del processo.
(…)
Dall’alto: SKIN ON MY WAY: ZONA INDUSTRIALE, Trebisacce (Cs), 2013. Stampa su carta fotografica, 50×70 cm. SKIN ON MY WAY: FORNACE DI LATERIZI ALETTI/CARDAMONE, Trebisacce (Cs), 2013. Stampa su carta fotografica, 50×70 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.
(a pagina 15 del n. 8 di SMALL ZINE Ottobre – Dicembre 2013)
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