ANNIKA IN WONDERLAND
Annika Dzerve
– Valentina Tebala
“La tana del Bianconiglio per un po’ era dritta come una galleria, poi virò improvvisamente a muso in giù ma così improvvisamente che Alice non ebbe neppure il tempo di frenare: si trovò ribaltata a gambe all’aria, giù per un pozzo che sembrava senza fine.” (Alice nel Paese delle Meraviglie)
Valentina Tebala/ Vivi a Lecce ma – nata nell’inverno del 1987 in Lettonia – so che l’aura della tua terra d’origine persuade vividamente l’impianto cromatico di una tavolozza sgargiante e fredda al tempo stesso, materica e fluida o lattiginosa. Sembra che brevi e decise pennellate di colore costruiscano direttamente la figura, simulandone la tridimensionalità con luci e ombre senza l’ausilio di un disegno sottostante…
Annika Dzerve/ Amo il Sud Italia, amo il Salento e l’aria che si respira qui. Ma sono comunque una ragazza del Nord, sono nata e cresciuta in inverno, ho camminato tra le neve e ho respirato la salsedine del Baltico. Tutto questo viene fuori quando dipingo. Una pittura fredda come il ghiaccio e calda come il sole. Lecce mi ha dato l’ispirazione per una pittura materica: sarà perché ho avuto modo di conoscere nuove persone, sarà che qui i rapporti umani sono così “vicini” da arrivare al contatto fisico, ho sentito la necessità di creare qualcosa di tangibile, che possa essere percepito non solo dalla vista.
VT/ Il tuo utilizzo del colore insieme alla scelta dei soggetti, spesso e volentieri nude autorappresentazioni psicologiche prive di sfondo, mi suggeriscono una corrispondenza con i dipinti di “autocoscienza corporea” di Maria Lassnig nei quali l’indagine pittorica sul corpo come analisi del sé diventa motivo fondante. È così anche per te?
AD/ Per quanto riguarda me, non c’è una vera e propria analisi. Direi che la scelta dei miei soggetti sia più viscerale che ponderata. Addirittura a volte capita che non riesca a capire immediatamente perché ho scelto quel soggetto; ci torno dopo mesi, lo guardo, parlo col dipinto, parlo con le donne nude, col coniglio, con i pesci, loro mi rispondono, deve passare un po’ di tempo per capire che ogni situazione dipinta ha a che fare con me, con la me reale. Molti miei dipinti sono pagine di un diario inconscio.
VT/ Le tue donne abitano scenari onirici che presumono accostamenti o addirittura fusioni con alcune specie animali, appunto pesci, conigli, volatili, maiali o insetti. Intendi suscitare delle analogie o relazioni simboliche?
AD/ Uso gli animali come metafora. Non mi interessa la simbologia o il misticismo dell’animale, ma la somiglianza con l’uomo, con l’animale uomo. Scelgo i miei soggetti dal mio passato, dai miei luoghi d’origine, senza curarmi se dietro al gabbiano o al pesce ci sia una simbologia archetipica. La mia è una pittura d’istinto.
WHITE RABBITS. Olio su tela, 70×50 cm. Courtesy dell’artista.
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