IN UN TEMPO DI MEZZO
Rocco Mortelliti
– Luca Cofone
Luca Cofone/ La riflessione sul tempo sembra essere l’elemento cardine del tuo approccio alla videoarte, è così?
Rocco Mortelliti/ Utilizzo il video come mezzo di prolungamento del corpo dell’individuo mediante suoni e rumori che ricreano la presenza dell’osservatore all’interno del contesto in cui si trova, in quel lasso di tempo in cui si è premuto il tasto REC. Lo spazio e il tempo rappresentano la materia prima da cui poter attingere. Il corpo diventa un punto di partenza per la scoperta di uno spazio fuori sincrono dal tempo.
Passato, presente e futuro diventano un tutt’uno con lʼambiente, il corpo viene stravolto pur rimanendo un punto fermo. Il montaggio e la regia sono tutto ciò che mi occorre. Registi come Andrej Tarkovskij, Apichatpong Weerasethakul, ma anche Tsai Ming-liang, sono riusciti a slegarsi da una struttura classica. Peter Greenaway è stato uno dei primi, ma il suo cinema era già videoarte allo stato puro.
LC/ Nelle tue fotografie pare ci siano essenzialmente due elementi fondanti: da un lato l’orizzonte, il confine fra terra e mare, dall’altro ciò che lentamente ha perso la sua essenza, qualcosa su cui, ancora una volta, il tempo ha agito…
RM/ Le mie foto sono un tiepido tentativo di mettere a fuoco un mio stato d’animo, i luoghi scelti sono essenzialmente il mio punto di vista, un malessere su una terra, la Calabria, che vorrebbe dare tanto ma che è intrappolata da eventi storici che ci perseguitano tutt’oggi.
Non scatto molto, quando lo faccio deve essere qualcosa che viene dal cuore, che vada oltre il medium scelto. Fotografare è questo per me, immedesimarsi nell’assenza di un medium, come specchio di ciò che sentiamo.
LC/ Quanto sono importanti per te “concetti” quali famiglia o provenienza geografica, come condizionano e guidano il tuo pensiero?
RM/ I lavori più maturi li ho realizzati tornando a casa, un nesso deve esserci per forza. Tornare mi ha portato a creare diversi lavori tra cui quello di realizzare un documentario sui miei nonni.
Ogni volta che vado a trovarli c’è sempre un pretesto per tornare al passato, loro hanno vissuto la seconda guerra mondiale, quindi mi è sembrato un buon motivo per raccontare un’epoca diversa; quei racconti che hanno fatto parte della mia infanzia li ho voluti filmare, e qui loro sono stati molto bravi nel rendere l’idea di com’era la società di allora e di oggi. Il documentario è girato quasi tutto in dialetto calabrese, ho fatto uso di primi piani e fotografie di repertorio, i tempi qui sono dilatati per scelta, il montaggio come scansione della realtà, la vita quotidiana di chi si alza la mattina presto, di chi si è addormentato dopo pranzo con la televisione accesa, di chi è impossibilitato ad uscire di casa per via di un’anca malandata. Ancora una volta il tempo è stato il protagonista principale e il documentario prende il nome, non per caso, dalla via dove i miei nonni hanno coltivato la loro terra per più di cinquant’anni, e i loro padri e i loro nonni ancor prima di loro. Via valle degli angeli – 2015 è il titolo del racconto di chi sono i miei nonni e cosa sono stati. Raccontare la realtà per come la si è vissuta, questa è la sfida più importante per un artista oggi.
SPY ON, 2013. Still da video. Courtesy dell’artista.
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