di Sabino Maria Frassà
Sabino Maria Frassà/ Paola Pezzi: in 35 anni di carriera, tanti successi internazionali con altrettanti cicli di opere, eppure, il grande pubblico ti conosce soprattutto per le tue opere con le matite, ci racconti come sono nate?
Paola Pezzi/ Oltre le matite c’è molto di più. Le persone spesso mi accostano a questo vecchio lavoro e mi sono spesso domandata, avendo usato i materiali più diversi, il perché di tale successo. Forse perché lo scrivere e il disegnare hanno un qualcosa di fanciullesco o forse per l’innegabile effetto ottico che porta lo spettatore a credere/vedere le matite curvate, mentre sono normalissime matite. È stato un lavoro anche spesso sofferto, perché l’ho considerato invadente: dopo tanto tempo per la mostra antologica da Gaggenau ho realizzato una nuova opera in matite bianche, le mie preferite, ma è stata un’eccezione. Non amo ripetermi e tornare indietro, sento sempre il bisogno di evolvere.
SMF/ Passato. Nel 1995 dopo una grande personale, tue opere sono entrate in una delle collezioni, quella della GNAM, tra le più prestigiose in Italia, come si è evoluto poi il tuo lavoro?
PP/ Da sempre vivo in case-studio. Per me l’arte è un’esperienza totalizzante, non è un semplice lavoro. Io sono la mia arte: sono una persona autentica, non diplomatica, senza filtri. Non amo ripetermi e non sono un’artista compulsiva. Del resto, non credo nemmeno che si debba troppo guardare al proprio passato perché è già dentro di noi e in quello che facciamo di nuovo. Proprio per tale ragione dopo la GNAM e il successo del ciclo di opere nuclei mi sembrò normale aprire letteralmente quelle sculture, in cui la materia era avvolta su se stessa, per poi dipingerci sopra. Questo gesto di aprire il lavoro mi ha cambiato, e da allora esso è sì sempre circolare, ma guarda all’esterno. È un gesto che non comprime l’energia ma la premia ed evidenzia. I passaggi successivi sono stati determinati dalla mia infinita curiosità di sperimentare il movimento con nuovi materiali.
SMF/ I tuoi materiali sono per lo più materiali poveri e della vita quotidiana. È un caso?
PP/ No, perché vengono dall’esistenza che vivo. Io evolvo insieme ai miei lavori e all’ambiente che mi circonda. Impiego perciò soprattutto materiali della mia vita quotidiana; ne vedo un’intrinseca bellezza e vitalità per cui non ho bisogno di ricorrere a materiali preziosi. Che siano cotton fioc, cannucce o passamanerie è affascinante vedere come dalla loro somma e raggruppamento nascano nuove forme che non hanno più nulla a che fare con la ragione pratica per cui sono nati. Il risultato è puro movimento.
SMF/ La tua arte sembra raccontare da sempre proprio questo continuo movimento ed evolvere della nostra esistenza.
PP/ Fermi non si può stare. Tutto evolve e non credo in un’arte che cristallizzi il momento, quanto in un gesto artistico che riesca a raccontarne la fugace essenza, di cui il movimento, o meglio l’evoluzione, è intrinseca parte della vita.
PASSAGGI DI STATO, opera esposta nell’omonima mostra presso Gaggenau DesignElementi Hub, Milano. Foto © Francesca Piovesan. Courtesy dell’artista.
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