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GALILEO SIRONI                       

a cura di Pasquale De Sensi

Non sono un calligrafo, e non ho mai preteso di esserlo, anche se ne uso strumenti ed elementi. Mi sento più a mio agio come graphic designer, ma la mia storia inizia grazie a un corso di calligrafia. Era la fine degli anni Novanta, e mi ritrovai a frequentare la NABA, ancora nella vecchia sede di via Bassi, a Milano. Uno stabile squadrato con al pian terreno un oratorio. Devo ammettere che a quellʼepoca non ero per niente il tipico studente modello e passavo la maggior parte del tempo a leggere riviste di skate e fare bozzetti di graffiti. Mi sono sempre piaciute le lettere, come poterle deformare e giocarci fino allʼestremo e, quando tra i corsi aggiuntivi scelsi lettering, un nuovo mondo si aprì: i due prof che avevamo erano dei maestri calligrafi e già dalla prima lezione rimasi affascinato dai loro lavori. Ci fecero comprare una automatic pen, penna da calligrafia con una punta formata da due pezzi di metallo, con cui era possibile tracciare un tratto fine orizzontalmente e grosso verticalmente. Continuai a interessarmi alla calligrafia fino a che, stanco di proseguire unʼaccademia che non faceva per me, presi lʼoccasione al volo e andai a lavorare come grafico in un giornale di snowboard. Alla calligrafia non ci pensai più, almeno per un po’… Continuai a lavorare nel campo dell’editoria e poi come impaginatore in una rivista di skateboard finché, nel 2006, mi ricordai di quanto mi piaceva cazzeggiare con le automatic pen e subito mi assalì lʼidea, come unʼossessione, di ricominciare a dedicarmici. Feci il giro dei colorifici di Milano alla ricerca disperata di queste benedette pen ma nulla, nessuno le conosceva! Spiegavo come erano fatte, ma niente, era come se parlassi alieno. Ne costruii una con dei pezzi di legno e lattine, per mostrare ai negozianti a cosa vagamente assomigliavano, ma ancora niente. Le trovai finalmente online e ne ordinai subito due set! Mi procurai anche dell’ecoline, una specie di acquarello liquido molto denso, con cui era possibile fare sfumature sorprendenti, e ricominciai a mettermi sotto, facendo fogli e fogli di sequenze di lettere. Era una cosa che mi rendeva felice e mi portava una sorta di calma interiore. Allʼepoca passavo tantissimo tempo davanti al computer a impaginare e avevo bisogno di qualcosa per staccare, un mio piccolo mondo dove poter mettere su carta la confusione e i blablabla che mi circondavano, unʼattività analogica in un mondo sempre più digitale.

GS11 – PROGRESSIVE MAN, 2013. Ecoline e candeggina su carta, 21×29,7 cm. Courtesy dell’artista.

© 207 BOX ART & CO.

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