di Davide Silvioli |
La ricerca di Alessandro Calizza guarda al grado di complessità che contraddistingue un presente storico sempre più stratificato, metabolizzandone e riformulandone una diversità di aspetti. La sua pratica, così intrapresa, si muove liberamente tra una pluralità di registri espressivi e di tecniche, sperimentati al fine di restituire, con irriverenza postmoderna, gli attriti che abitano l’attuale civiltà ipermediatica.
Nel tuo linguaggio si nota la coesistenza di categorie comunemente ritenute separate: passato e presente, armonia e discordanza, reale e surreale. Allora, qual è la funzione di queste opposizioni nella tua pratica artistica e quali sono i contenuti che tendi a esprimere?
Alessandro Calizza/ Oggi viviamo più che mai in una dimensione schizofrenica, dovuta ad un continuo slittamento tra più piani di realtà, o meglio, tra la realtà e la percezione distorta e sintetica che abbiamo di essa. Come avviene nel guardare le ali di un colibrì in volo, il movimento tra questi due piani è talmente costante e veloce che ne perdiamo la percezione e crediamo di essere ben saldә in un’unica dimensione. Pezzi di sé si sgretolano tentando di sovrapporsi a frustranti avatar di noi stessә, che si nutrono di una tanto distratta quanto effimera approvazione. Il contrasto tra diversi linguaggi, i glitch, la commistione di stili e simboli di diverse epoche o culture sono ideali per riflettere su tutto ciò. Dicotomie, errori di percezione, incontro/scontro tra sistemi di credenze differenti: tutto ciò cerco di sintetizzarlo, filtrato dall’ironia, in queste coesistenze che generano lo stridore che mi interessa sia presente nelle mie opere.
Nel merito delle tecniche adoperate nel tuo lavoro, si elencano il disegno, la pittura, la scultura e l’installazione, di frequente risolte ricorrendo a una pluralità di materiali. Cosa ti spinge, nella realizzazione di un’opera, a decidere di utilizzare una di queste soluzioni anziché un’altra?
AC/ Da artista autodidatta ho avuto la necessità (e la fortuna) di dover “capire” tecniche e materiali andando per tentativi. Questo mi ha permesso di rendermi conto che non c’è un materiale più o meno nobile di altri, né che determinate tecniche siano inferiori o superiori ad altre. Per me l’opera parte principalmente dal contenuto, e nel darle forma non mi forzo in alcuna direzione ma seguo quella che penso possa portarmi alla sua soluzione formale più valida ed efficace. Pittura, carboncino, installazioni, incisioni di pochi centimetri, sculture in argilla o materiali recuperati in negozi cinesi: ogni scelta ha delle sue possibilità specifiche. Detto ciò mi rendo conto che la pittura e il disegno restano il mondo che più risuona con il mio, nessun altro medium mi permette come questi di eludere e rimodellare la realtà a mio piacimento per mostrarla così come la sento e come vorrei farla percepire. E poi il carboncino che si disfa sulla tela, creare dal nulla immagini, ombre e mezzitoni con le dita, trovo abbia qualcosa di magico ed erotico.
Oltre alla tua ricerca, sei spesso impegnato a favore di progetti artistico-culturali di varia tipologia, quali Sa.L.A.D o come alcune iniziative relative a Ombrelloni Art Space. Come ti relazioni con questi due aspetti?
AC/ Sono due dimensioni molto diverse tra loro. Ombrelloni è l’artist run space che condivido con altrә artistә e dove a volte diamo vita ad appuntamenti come open studio, performance o esposizioni nella project room n0 curata da Matteo Peretti. Qui l’equilibrio tra confronto collettivo e ambito privato di lavoro è ideale, anche grazie all’architettura dello spazio. Il progetto Sa.L.A.D. – San Lorenzo Art District sta crescendo ogni giorno di più grazie alle collaborazioni con altre realtà del territorio come Charta Festival, Art Diners, Pastificio Cerere o Soho House Rome. Per me realizzare una mostra o ideare un progetto come Sa.L.A.D. (in cui ad oggi siamo in 7 ad essere coinvoltә) non ha troppa differenza da un punto di vista “politico”: sono due modi di voler riflettere ed agire nella e sulla società di cui faccio parte. In un caso la riflessione vuole avere un respiro assoluto, nell’altro, Sa.L.A.D., l’intenzione è ben specifica e ciò che ci preme è il presente ed il futuro dell’arte e della cultura a Roma e in un quartiere tanto splendido quanto complesso come San Lorenzo.
Nel tuo progetto, recentemente inaugurato a Roma presso bar.lina e dal titolo “Rotten dreams and golden plates”, domina la figura smembrata del David di Michelangelo. Un’immagine non semplicemente provocatoria ma che, più attentamente, si lascia avvertire per il forte impatto simbolico, oltre che per una certa restituzione tragica. Quale pensiero c’è a monte di questo lavoro e della relativa formalizzazione?
AC/ Ho scelto il David perché effettivamente credo sia, tra tutte le opere d’arte, una delle più iconiche e simboliche. Se da un lato rappresenta uno dei momenti più alti della cultura dell’occidente e un riferimento che ancora oggi facciamo fatica a trovare altrove per la nostra cultura, dall’altro leggo l’opera anche come stereotipo di una certa idea di uomo e di mascolinità: è l’uomo forte, sicuro di sé, impavido e dal fisico perfetto. Sicuramente queste possono essere delle virtù, ma se forzate come accade nel nostro sistema di valori verso l’unica opzione possibile per noi uomini, ecco che diventa modello di un certo machismo tossico, dannoso per noi uomini in primis e causa di molte delle complessità che oggi caratterizzano le questioni di genere. Certo non è solo questo il motivo, il David è più in generale una sineddoche della nostra epoca e della nostra società, farlo a pezzi quindi vuole essere da un lato una presa di posizione e dell’altro un campanello d’allarme. Ci sono molti livelli di lettura dell’opera e Andrea Acocella nel suo testo critico li ha sottolineati davvero bene. È un’opera che ad esempio rimanda alla riflessione sulle rovine e le macerie di Marc Augè, o al rapporto tra potere e corpo come “luogo politico” di Foucault; è un tentativo di portare nello spazio reale le mie riflessioni sul linguaggio e sul binomio reale/virtuale che in pittura approfondisco già da tempo, insomma, come tutto il mio lavoro parte da una visione ed una esigenza ben precise ma c’è anche una stratificazione di significati e chiavi di lettura aperte che sarà chi poi fa esperienza dell’opera a definire secondo la propria sensibilità e attitudine.
È già possibile anticipare qualcosa nei riguardi di progetti futuri a cui stai lavorando?
AC/ Sarà un anno ricco di impegni. Dopo due anni in cui ho esposto principalmente in altre città italiane o all’estero fino a dicembre sarà possibile visitare la mostra “Rotten Dreams and golden plates” da Bar.lina qui a Roma. Sto realizzando l’opera che caratterizzerà la hall di ingresso di Cloud7 Rome, di prossima apertura in centro. È poi in via di definizione la data di presentazione di un mio Leporello presso la libreria del Palazzo delle Esposizioni, dove sono già stato ospite con il progetto Sa.L.A.D.. Proprio in queste settimane stiamo anche definendo i dettagli di nuove residenze d’artista che tra novembre e giugno mi porteranno in Cina, in Algeria e nuovamente in Palestina, dove, oggi più che mai, credo l’arte e la cultura possano dimostrare la loro importanza e il loro ruolo in quanto strumenti di attivazione di processi e di riflessioni critiche sul nostro tempo e sulla nostra società.
Dall’alto: Spaccare il centro del tempo-shift#1, 2023. Rotten dreams and golden plates, 2023. Installation view, Bar.lina, Roma. Foto © Alberto Guerri. La verità sta dietro la linea, 2023. Foto © Giorgio Benni. Per tutte courtesy dell’artista.
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