Principio dell’Infinito | Il disegno spaziale di Carlo Bernardini

di Enrico Turchi | 

Come su di una tavola buia, tonalità scura che avvolge e annulla totalmente il campo visivo, Carlo Bernardini costruisce e compone le sue linee di luce in fibra ottica, un disegno che prende forma in negativo e svela accenti di realtà che forse la percezione non è ancora pronta ad afferrare. Linee che si appropriano così dello spazio fisico, rendendo l’ambiente stesso base incorporea su cui “dipingere”.

Processo riportato su scala macro anche con l’installazione luminosa permanente Principio dell’Infinito, che da venerdì 29 novembre 2024 ha collocazione in perpetuum, da un lato all’altro di Piazza Edmondo Berselli a Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena. L’iniziativa, supervisionata dal curatore Alessandro Mescoli e voluta sin dall’amministrazione precedente dall’assessore Sofia Baldazzini, è volta a riqualificare uno spazio un tempo in disuso, nuovo tratto al centro del paese che ne connette le parti strategiche, secondo un’operazione di investimento di senso e valore per il pubblico ambiente. L’angolazione scelta a guardare restituisce così una visione che varia nell’immagine impressa dalla luce sulla percezione dell’opera, secondo coordinate indipendenti e autonome dal luogo, oltre il sentore di una sua mera fisicità.

Come l’arte contemporanea predilige rivolgersi all’intelletto, in luogo di un’arte dei secoli scorsi indirizzata all’appagamento dei sensi, queste linee spaziali sembrano permeare l’ambiente per trasformarlo in senso illusorio, nella formazione conclusiva di una nuova immagine mentale. Nell’aspetto di triangolo, trapezio, rombo, parallelogramma, questo insieme di forme può essere ricostruito come un puzzle in cui la proprietà della luce è adatta a smaterializzare le pareti della piazza, andando a suggerire qualcosa di tangente, fuori fuoco, una dimensione ulteriore alla normale fruizione dello spazio stesso.

Attratto dai processi di ricostruzione dell’immagine, Bernardini guarda al cinema di Dario Argento (Profondo Rosso) e Michelangelo Antonioni (Blow Up), nel cercare di mettere a fuoco una zona franca di ombre e riflessi, diretta a formare nella memoria la soluzione all’enigma. Un secondo tempo della visione, che emerge come stato di coscienza non cosciente, legato più alle facoltà dell’intuito che dell’intelligenza. Si cerca così di indagare zone scure non percepibili, entità inosservabili che necessitano di allargare il campo della percezione usualmente condivisa. Come nei quadri di De Chirico, dove un’ambiguità sostanziale rimanda piuttosto al sentore di assenza che muta in base alla proiezione della nostra posizione nello spazio interno all’opera.

Pur nella sua fissità, la luce intensa di queste linee indica un senso di alterna mobilità, a seconda del punto di vista che assumiamo e nella predilezione di un particolare angolo visuale. Opera resa dinamica in aperto contrasto con la sua forma immobile e immanente, in base a coordinate di posizioni divergenti che ci portano ad apprezzare quello che altrimenti non si vedrebbe, come in una dimensione altra dal luogo. Forme da assumere nella instabilità della materia, verso uno stato cognitivo indeterminato in cui riuscire finalmente a cogliere la vera instabilità del reale.

L’immagine soffusa che deriva dal flash della fibra ottica, fa per un attimo sbattere le palpebre, chiudere gli occhi a formare momenti che diventano così successivi nella ricostruzione del percorso intrapreso dalla luce. Carattere aleatorio proprio delle qualità del materiale che rende della linea una serie di punti, sul cui tragitto possiamo infine apprezzare lo svolgersi del flusso di quelle variabili intuitive, adatte a cogliere il bagliore singolo e fugace, dell’infinito.

 

Per entrambe: Principio dell’Infinito, Castelnuovo Rangone (MO). Veduta notturna, courtesy Carlo Bernardini.

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