LA SCULTURA SOCIALE
Rosaria Iazzetta
Ho pensato che avrei potuto essere in alternativa, una comica, non tanto per mania di protagonismo televisivo, o per desiderio di avere un pubblico seduto ad ascoltarmi, ma per il fatto che le cose serie ed importanti, da queste parti, non sono più enunciate da chi dovrebbe, e si passa alla comicità per sentire e dire la verità. Ad oggi di vero c’è, che le società, sono strutturate, in modo tale, da emarginare i sostenitori del buon essere e del giusto fare, a tal punto, da trasformarli in dissidenti, che a parer loro, ostacolano la crescita e lo sviluppo collettivo. Ma come si può pensare di crescere dimenticandosi del valore che hanno, certe cose che appartengono all’amore! È necessario l’amore per lo sviluppo libero e la creazione di un pensiero unico, e la giustizia sociale non deve essere latitante, altrimenti, oltre a creare privilegi per caste inaccessibili, trasforma gli uomini, in numeri, utilizzati all’occorrenza per generare altri consumi e più soprusi. Il mondo sin da giovane, mi è sembrato, che fosse l’alibi per alcuni, e la necessità per altri; dove il debole fallisce nella creazione dei propri sogni, il forte agisce indisturbato, e usa il termine acquisto, anche in quelle pratiche che interagiscono con i valori, della dignità e della coscienza.
Alle cose che non hanno prezzo, si è dato un prezzo, e alle cose che avevano un valore si è corrisposto, un numero di soprusi, pari al valore da comprare.
E a queste verità inappellabili, che dai tempi in cui le cose frivole non mi interessavano, ho iniziato ad aver ben chiaro cosa dire, prima ancora di aver individuato la modalità per dirlo.
Dal pennello sulla tela, mi ritrovai a rovistare tra gli sfasci di navi al porto di Napoli. Allora, dopo l’India, Napoli era un centro per la mano d’opera a basso costo, e per questo e non solo, importante luogo per la demolizione di navi. Tonnellate di ferro, che si lasciavano tagliare dalla fiamma ossidrica, mi sembravano, e tutt’ora echeggiano, come montagne predisposte a diventare altro di esteticamente più limitato, e non per questo, straordinario. Il concetto di utilità che caratterizza il mio lavoro, oggi potremmo dire sociale, ma nei miei esordi lo chiameremo funzionale, è stato il ponte per la quale parte della mia crescita si è attuata in Giappone. Gyosho, erano le sculture che progettai per vietare la pesca a strascico illegale, e incrementare la fauna marina, visti i mari depauperati. Le strutture prevedevano il recupero di parti di navi, ripulite da sostanze nocive e assemblate in nuove modalità estetiche, al fine di creare un museo sottomarino. La struggente contemporaneità vissuta poi, in Giappone, ha integrato la fotografia al vigore delle mie sculture in acciaio, queste ultime evolutesi con la frequenza del Master in scultura, alla Tokyo National University of Fine Art and Music. La Soh Gallery di Tokyo, ha promosso e ancor oggi promuove il mio lavoro in oriente. Quando la scultura non bastava a riempire gli animi, mi sono imposta di scendere più in basso, per arrivare ai distratti per strada, agli assorti nei problemi di sopruso, ai rinunciatari dei propri sogni, affinché l’utilità del mio fare mettesse in scena non solo una partecipazione sociale e attiva, ma che arrivasse dove è giusto che l’arte faccia frutti, frutti umani più che frutti economici. Ed ecco allora, che chilometri di PVC, tra il centro e comuni limitrofi di Napoli, sono stati installati su strutture di entità pubblica, in modalità temporanea o permanente. All’antica via di accesso di Napoli, Porta Capuana, il progetto Le porte chiuse dalla camorra, pone l’accento su quanto il sopruso camorrista c’entri con la crisi di valori, di identità ed economica in Campania. (…)
PAROLE DA CEMENTO, 2008. PVC, 40 mq. Installazione permanente quartiere Scampia, Napoli. Foto: Teresa Capasso
© 2011/2012 BOX ART & CO.