Una eccentrica e coltissima professoressa di storia dell’arte del mio liceo triestino è stata responsabile di aver instillato in me una curiosità che poi è divenuta sconfinata passione. Mi sono laureata in storia dell’arte a Washington DC, un’esperienza universitaria unica nutrita dallo scambio con incredibili ricercatori e professori, tra cui quello di arte medioevale: un tizio bizzarro vestito sempre nello stesso modo che descriveva le icone spesso aggrappandosi fisicamente alle loro immagini proiettate sulla parete. Per me era una specie di divinità. Sono arrivata a Berlino nel 1997, prima per studio e poi per un incarico al Museo Ebraico, quello disegnato dall’architetto Liebeskind che ai tempi era ancora un contenitore monumentale e meravigliosamente vuoto. Berlino si è trasformata per me poco dopo in una cassaforte di seducente contemporaneità, quella imprevedibile, progressista e sperimentale, quella dei veri nomadi della cultura internazionali, di artisti, scrittori, giornalisti e di idee che fluivano dinamicamente plasmando la città e facendola sembrare il fulcro dell’universo. Ho lasciato Berlino qualche anno dopo, solo perché Londra mi offriva l’opportunità di portare avanti un master di specializzazione sul contemporaneo. Ad un fortunato stage alla Tate strada della curatela è partita poi alla velocità della luce ed è proseguita con un’esperienza istituzionale importante come curatrice del Centro d’Arte Contemporanea di Villa Manin. Lì abbiamo presentato i più grandi nomi internazionali in progetti di scultura pubblica, ma anche in più di 25 mostre personali e collettive organizzate nel giro di 5 anni di attività. Ricordo che durante una visita newyorkese mi hanno fatto entrare gratis al MoMA dopo aver visto il mio biglietto da visita. Incredibile che una villa barocca nel mezzo della campagna friulana era divenuta un’istituzione di riferimento per il contemporaneo, riconosciuta addirittura nella capitale americana. Tristemente però il destino del Centro d’arte contemporanea di Villa Manin è stato quello di tante realtà culturali italiane influenzate dai cambiamenti della politica: una brillante meteora, destinata a sparire con l’arrivo di una nuova giunta regionale disinteressata all’arte del presente. A dirigere la fiera Artissima ci sono arrivata vincendo un bando pubblico alcuni anni più tardi. Per farlo mi sono trasferita a Torino con tutta la famiglia arrivando dalla Svizzera dove, dopo un periodo milanese, avevo avuto anche qualche esperienza di galleria. Non sempre si sa che i direttori di una fiera non lavorano direttamente con gli artisti ma principalmente con galleristi, collezionisti oltre che con curatori, istituzioni e giornalisti. La definisco oggi a distanza di qualche anno un’esperienza antropologica, faticosissima e umanamente stressante ma unica nell’opportunità che dà di capire l’eterogeneità di pubblici del contemporaneo e delle necessità dei diversi contesti istituzionali. Mi ha insegnato a ragionare in modo strategico e sistemico pur senza mai compromettere la priorità della qualità dell’opera d’arte. Il ritorno in Italia mi ha riservato diverse sorprese tra cui l’incontro con Mutina, un’azienda ceramica visionaria guidata da un appassionato collezionista con la voglia di supportare gli artisti e i diversi linguaggi dell’arte, facendo anche in modo che questi “contaminino” clienti e collaboratori. Insieme abbiamo creato uno spazio espositivo (di cui sono curatrice) all’interno della bellissima sede aziendale vicino a Modena dove presentiamo regolarmente mostre oltre a realizzare progetti di scambio con istituzioni artistiche inter- nazionali. Un raro e virtuoso esempio di strategia imprenditoriale che coincide con la fiducia nella creatività e nella cultura del presente. A Roma sono giunta partecipando al bando indetto dalla Fondazione Quadriennale che era alla ricerca, per la prima volta, di un direttore artistico. Si trattava di un percorso nuovo mirato a internazionalizzare l’istituzione e a renderla attiva anche durante il tempo che divide una mostra quadriennale dall’altra. Ho scelto di partecipare al concorso perché ho avuto un’idea, di quelle che nella testa sembrano concretizzarsi proprio come succede nei fumetti con l’immagine della lampadina. In un’istituzione dedicata all’arte italiana volevo pormi in modo costruttivo rispetto ai tanti limiti del sistema del nostro paese, le cui conseguenze sono sentite soprattutto dagli artisti: dalla diminuzione di fondi pubblici a musei e istituzioni, alle difficoltà delle gallerie commerciali fino alle difficili regole fiscali, l’Italia vive un momento complesso che richiede propositività e fiducia. Penso di poter dire che in questi due anni di lavoro con i vertici e lo staff dell’istituzione abbiamo ottenuto degli ottimi risultati creando iniziative di scambio tra i giovani e promuovendo l’arte italiana all’estero. Con i workshop di Q-Rated, realizzati in diverse città italiane, mettiamo in connessione giovani artisti e curatori con figure dell’arte contemporanea internazionale, scoprendo il lavoro e il pensiero di una nuova generazione. Con Q-International, il bando di sostegno per istituzioni straniere che espongono artisti italiani, continuiamo a contribuire alla promozione della nostra arte, oltre a far conoscere internazionalmente la Quadriennale. Ma il grande traguardo a cui stiamo lavorando ora è la prossima Quadriennale d’Arte, mostra che curo insieme a Stefano Collicelli Cagol, che inaugurerà nell’ottobre 2020 a Palazzo delle Esposizioni. La mostra, che si snoderà su più di 3.500 metri quadrati di superficie espositiva, presenterà in tante diverse sale monografiche il lavoro di diverse generazioni di artisti italiani. Una mostra con un progetto specifico per provare a fornire un’immagine dell’arte italiana che superi le narrazioni finora dominanti per dare spazio all’avanguardia, alle voci di tante artiste donne, ai rivoluzionari linguaggi multi- disciplinari del passato così come a quelli della contemporaneità. La Quadriennale ha una storia importante e un’identità ricchissima, complessa e straordinaria. È un privilegio poter lavorare a favore dell’arte italiana in questo momento storico che rende così urgente riflettere sulla nostra identità.
Sarah Cosulich è Direttore Artistico della Fondazione La Quadriennale di Roma e Curatrice del progetto Mutina for Art.
Sarah Cosulich in un ritratto di © Delfino Sisto Legano. Courtesy Sarah Cosulich.
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