a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco
Alberto Ceresoli|Carmela Cosco/ Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?
Luca Zarattini/ Nella pittura cerco stupore. Dipingere mi da la possibilità di poter nascere e morire infinite volte. Credo che la questione costante che sta alla base del mio discorso artistico sia il tentativo di poter attivare, attraverso l’apparato visivo e la materia, il maggior numero di sensi.
AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?
LZ/ Sono sempre stato convinto che il messaggio è implicito nel modo, nella scelta del soggetto e della materia con la quale un artista decide di lavorare. La stratificazione, la cancellazione, l’ibridazione, sono costanti che da anni stanno alla base della mia ricerca pittorica, tempo, caos e caso vi sono sepolti dentro. Molto spesso, per insoddisfazione, mi capita di cancellare, coprire e ridipingere per svariate volte il lavoro di giorni. Così facendo sulla tela si va ad accumulare materia. Questo agglomerato pittorico va poi ripreso, strappato, ridipinto, guardato e a tratti levigato. Nel tempo mi sono così accorto che i lavori che presentano il maggior numero di “errori”, cancellazioni e di pentimenti sono tra quelli che riescono ad affondare maggiormente in territori a me sconosciuti, stupendomi. Per questo motivo più che al processo di formalizzazione dell’opera credo che ad interessarmi veramente sia proprio questo sofferto processo peptico di trasformazione ad interessarmi, come il borbottio magmatico di un vulcano che fuoriuscendo dal cratere si trasforma in lava. Lo studio diventa perciò l’unico contenitore nel quale tutto ciò accade e l’unico luogo nel quale posso realmente bloccare e dare una visione concreta al tempo che scorre. Per quanto riguarda la vostra domanda sul rigore o l’elasticità progettuale vi rispondo citando uno degli haiku contenuti nella traccia sette del disco omonimo dei Uochi Toki: “Mi permetto di cambiare idea a metà di una discussione.”
AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica, con supporti e materiali. Scelte e affezioni?
LZ/ Ho sempre avuto un grande amore per la materia. Negli anni ho lavorato e utilizzato come supporti per i miei dipinti diversi materiali: dai coperchi ferrosi dei fusti alimentari alle lastre di ottone, dalle plastiche industriali alle tavole trattate con cementi e altri tipi di materiali per l’edilizia. Molto spesso, e con esiti anche disastrosi, ho cercato, sperimentando, il modo per poter fondere insieme tecniche molto differenti tra di loro. Ad oggi la leggerezza della carta e la plasticità della ceramica sono tra i miei materiali preferiti.
AC|CC/ Astrazione o figurazione?
LZ/ Astarfigunizoerazione o se preferite Figustrazarazione.
AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?
LZ/ Sono un polifago. E da polifago mi alimento di tutto ciò che posso. Così anche la mia produzione. Quindi se vogliamo parlare di riferimenti iconografici non posso che comportarmi come una pallina impazzita dentro un flipper. I primi nomi che mi vengono in mente? Tintoretto, Arshile Gorky, Pinuccio Sciola, Giuseppe Recco, Per Kirkeby, Mattia Moreni, Bepi Romagnoni, David Hockney, dai dipinti parietali pompeiani alle Pinturas Negras di Goya, Pontormo, Studio Azzurro, ma anche certo cinema underground e sperimentale da Cassavetes a Béla Tarr a Franco Piavoli o fotografi come Mario Giacomelli, Luigi Ghirri e Paolo Gioli.
Dall’alto: Rolling food, 2022. Tecnica mista su tela, 50×150 cm. Salto in alto – Senza titolo, 2021. Tecnica mista su tela, 50×50 cm cad.
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