di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco
Alberto Ceresoli|Carmela Cosco/ Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?
Davide Serpetti/ La pittura rappresenta lo strumento per catturare la natura intrinseca delle cose. Ciò che la distingue dall’illustrazione è appunto il fatto di andare oltre la rappresentazione.
AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?
DS/ Cito il mio amico Luigi Presicce il quale afferma: “Di giorno risolvo problemi, di notte dipingo”. Per me è la stessa cosa. Trovo che la notte sia il palcoscenico ideale per i miei pensieri, i quali da incerti prendono una forma certa nel mio isolamento in studio. Alterno mesi di pittura intensiva ad altri di spostamenti per lavoro o piacere. In questi ultimi di solito non sfioro un pennello, ma lascio che il mio bacino di idee si riempia. In generale ho un approccio alla pittura molto elastico e diretto, ho realizzato piccole opere impiegando anni, oppure grandi tele in un solo giorno. Tutto dipende dall’idea alla base del dipinto.
AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica. Ci interessa il tuo rapporto con supporti e materiali. Scelte e affezioni?
DS/ L’olio ti costringe a fermarti e riflettere. E questo è un lusso che pochi materiali possono darti. Sono al 90% autodidatta, questo a volte rappresenta un limite ma allo stesso tempo mi emancipa dal cadere in virtuosismi già visti e mantiene la mia mano riconoscibile. Le mie lacune tecniche sono un altro lusso che custodisco gelosamente.
AC|CC/ Astrazione o figurazione?
DS/ Ma esiste veramente un confine netto tra queste due cose?
AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?
DS/ La mia opera indaga il rapporto tra icone e potere. I miei soggetti possono richiamare icone sacre oppure icone pop del nostro tempo. A volte utilizzo il volto di celebrità e la scelta vi ricade come fosse quella di un regista col suo attore. Voglio che le mie opere non risultino elitarie, voglio che il lavoro resti il più aperto possibile e quindi che ognuno possa trarne la sua interpretazione. A volte ricorro all’androginia nei miei soggetti, così che tutti possano immedesimarsi in essi. Per quanto mi riguarda lavorare con le celebrità non è altro che creare un parallelismo col passato. C’era un tempo nel quale commissionare un ritratto era qualcosa dì estremamente elitario. Per anni si è parlato del “perché continuare a dipingere”, io in chiave leggermente ironica mi sono dato una mia risposta: la pittura è un mezzo storicamente adatto a rappresentare e esaltare il potere. “niente è più anarchico del potere”, diceva Pasolini, “se hai il potere puoi fare ciò che vuoi, manipolare le menti e i corpi”, tutto ciò è pittura! I miei riferimenti e influenze sono tanti, ne citerò alcuni in maniera viscerale: i gladiatori di De Chirico, i leoni di Delacroix, il periodo rosa di Picasso, l’equilibrio compositivo negli ukiyo-e, le canzoni tristi, l’equilibrio cromatico di David Hockney, la sintesi di Manet, il senso del tempo nel lavoro di Anri Sala, le stanze di Bacon, l’elettricità di Pessoli, Lulu (Lou Reed & Metallica), i pini marittimi, il primo amore, il primo lutto, il primo viaggio in solitaria, Kill Bill vol. II, Vertigo (il film), il concetto di finito e non-finito, l’occhio della tigre, Massimiliano Allegri e l’ippica, l’accettazione del fallimento, Tranquillity Base Hotel & Casino (Arctic Monkeys), il senso di inadeguatezza guardando la luna piena, i pittori di bottega medievali.
Dall’alto: Arione, 2020. Olio, acrilico e spray acrilico su tela, 325×190 cm. Singer in the rye (Childish Gambino portrait), 2020. Olio, acrilico e spray acrilico su tela, 136×144 cm, 2020. Per entrambe courtesy dell’artista.
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