L’IMPOSSIBILITÀ DELLA PERFEZIONE | Elena Salmistraro                 

di Loredana Barillaro | 

Dimmi Elena, da cosa sei partita, quali sono stati i tuoi esordi?

Elena Salmistraro/ Dopo la laurea in Design del Prodotto al Politecnico, come tutti ho cercato di fare esperienza in alcuni studi milanesi, ma sin da subito ho capito che avrei dovuto iniziare un mio personale percorso. Ho così realizzato la mia prima collezione autoprodotta, un divano e delle lampade in cartapesta accoppiati ad alcuni vasi in terracotta. Erano degli oggetti, con una fortissima componente artistica, che esaltavano l’aspetto artigianale della produzione riuscendo anche ad avere una forte carica emozionale e comunicativa che vennero prima selezionati da Superstudio per una mostra nel basement durante il Fuorisalone del 2012, e successivamente scelti da Andrea Branzi e Silvana Annicchiarico per un’altra mostra, questa volta itinerante e curata dalla Triennale, che ha girato l’intero pianeta, “The New Italian Design”.  Quello è stato l’inizio di un lungo percorso fatto di tante difficoltà ma anche di tante soddisfazioni.

Sembra che tu riesca benissimo a rendere “unico” anche un oggetto prodotto in serie – che è poi la caratteristica di base del design – ovvero non mettere limiti alla bellezza fornendogli un carattere di accessibilità, come ci riesci?

ES/ Il mio percorso di studi mi ha portato principalmente a conoscere l’arte, la moda ed il design. Oggi quello che cerco di fare con il mio lavoro è tentare di lavorare al limite di queste tre discipline, cercarne le affinità ed esaltarle nella loro complessità. L’immagine intesa come disegno è sempre il punto di partenza, che successivamente si evolve fino a mutare in oggetto. L’unicità credo sia semplicemente la conseguenza di una metodologia bislacca che testardamente perseguo e non saprei dire se sia o meno la base del design, è semplicemente l’area di ricerca che trovo più affine alle mie capacità e soprattutto più divertente. Introdurre, per quanto possibile, elementi “artistici” all’interno del processo industriale è una delle cose che mi affascina maggiormente. Ovviamente le difficoltà sono enormi perché si tratta di modificare processi produttivi già rodati, innalzare spesso i costi di produzione alla ricerca di una componente espressiva non sempre compresa o apprezzata, ma quando ci si riesce la soddisfazione è maggiore.

Qual è l’elemento che caratterizza al meglio le tue creazioni, cos’è che fa immediatamente riconoscere un originale “Elena Salmistraro”?

ES/ È difficile dirlo. Come dicevo prima, il mio lavoro è carico della mia personalità, ho la necessità di riversare me stessa e i miei sentimenti all’interno delle mie creazioni. Il design industriale ha quasi sempre cercato di allontanarsi il più possibile dall’Io del progettista, perché visto come un’imposizione non necessaria, la forma ha spesso seguito la funzione liberandosi da tutto ciò che era percepito come superfluo, cercando quanto più possibile di assecondare alcune logiche di produzione che non sempre hanno fatto il bene del progetto. Io, dal canto mio, cerco di andare in un’altra direzione, sperimentando soluzioni alternative, introducendo simboli, forme, segni, che probabilmente rendono riconoscibile il mio lavoro. Credo sarà interessante tra qualche anno osservarne anche le differenze, perché questo approccio “da artista”, che mette in mostra anche gli stati d’animo e le emozioni mi porta spesso a cambiare, ad esempio gli oggetti di cui parlavo prima, realizzati in cartapesta, sono molto differenti da quello che disegno oggi, perché nel frattempo anche io sono cambiata.

Parlami dell’affettività nei tuoi progetti, delle assenze e delle presenze. Cosa rende tutto così intenso?

ES/ La mia passione per la pittura mi spinge a riversare nel disegno emozioni, gioie e paure, l’ho sempre vissuta come una sorta di terapia, è l’elemento che mi salva dalla spietata quotidianità. Come dicevo prima, il punto di partenza è sempre il disegno, mi è utile per indagare la forma, e anche se potrebbe apparire come un gesto normalissimo e naturale alla progettazione, in realtà oggi non è così. La tecnologia ha spesso eliminato la pratica del disegno, in favore di software incredibilmente potenti, che nel mio caso però intervengono solamente in una fase successiva, per riportare il segno ancestrale della pittura alla necessaria e moderna contemporaneità, stando molto attenti a non creare quella distanza tra progettista e progetto che mi spaventa. Questo tipo di approccio fa sì che le forme disegnate si carichino di significati particolari, che vanno oltre la risoluzione delle problematiche funzionali o la ricerca di lineari geometrie, aprendo a un campo di indagine e sperimentazione vastissimo.

Qual è, secondo te, la natura di tutto il fascino e della vitalità che connotano il tuo lavoro?

ES/ La sincerità. Il mio lavoro non si nasconde, si mostra nei suoi pregi e nei suoi difetti, non si erge ad emblema della perfezione, perché è consapevole dell’impossibilità della stessa. Il mio lavoro non si carica di sovrastrutture o imposizioni metodologiche e stilistiche, il mio lavoro non ha la presunzione di voler essere immortale, il mio lavoro si nutre della contemporaneità perché è lì che vuole intervenire. Il mio lavoro è semplicemente ciò che si vede, è onesto, è Popolare.

Elena Salmistraro è Designer e Artista.

Dall’alto: Elena Salmistraro in un ritratto di © Giovanni Gastel. CHHAU CABINET, Elena Salmistraro per Scarlet Splendour. REPTILIAN, Elena Salmistraro per Moooi Carpets. Per tutte courtesy Elena Salmistraro.

Pubblicato sul n. 35 di SMALL ZINE, luglio-settembre 2020.

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