FORME UNICHE PER IDENTITÀ MULTIPLE
Davide Monaldi
– Gregorio Raspa
Gregorio Raspa/ La tua formazione artistica si è svolta nel campo del disegno e dell’illustrazione. Circa dieci anni fa, poi, hai deciso di orientare la tua ricerca verso la tridimensionalità concentrandoti, prevalentemente, sulla lavorazione della scultura in ceramica. Mi racconti delle necessità che hanno guidato un simile percorso?
Davide Monaldi/ Ho iniziato con il disegno e per diversi anni mi sono dedicato esclusivamente a quello. Intorno al 2009 ho sentito che disegnare non mi bastava più e ho cominciato a tradurre alcuni dei miei soggetti grafici in scultura attraverso l’utilizzo della ceramica che, sin da subito, ho sentito come il materiale più adatto alla mia sensibilità.
GR/ Nel corso del tempo, il tuo legame con la figura è rimasto pressoché immutato, assumendo un ruolo centrale anche in ambito scultoreo. Come è cambiato, invece, il tuo rapporto con il disegno? Che ruolo svolge quest’ultimo nella tua prassi attuale?
DM/ Il disegno ha ancora un ruolo fondamentale nella progettazione delle mie sculture, anche se a volte può succedere che inizi a lavorare su un nuovo progetto senza nessuna immagine fisica di riferimento, ma seguendo solo un’intuizione che esiste nella mia mente.
GR/ La produzione della ceramica, forse a causa della sua millenaria tradizione, è legata ad archetipi e stilemi predefiniti che sovente ostacolano il suo pieno e concreto sviluppo in ambito contemporaneo. In un simile contesto, la tua indagine condotta sulla materia sembra esprimere una posizione concettualmente indipendente e, per certi versi, inedita. Pensi che il tuo “status” di ceramista autodidatta abbia in qualche modo favorito lo sviluppo di una prospettiva di ricerca autonoma? Più in generale, come ti rapporti con la tradizione e con la storia dell’arte?
DM/ Pur avendo fatto studi artistici mi considero un autodidatta. Ho sempre sofferto la scuola in generale e ho sviluppato il mio linguaggio in completa autonomia. La tradizione dell’arte fa parte di me. Con essa mi relaziono quotidianamente, anche in maniera inconscia, ma quando lavoro cerco di fare semplicemente quello che mi diverte e mi fa stare bene.
GR/ In un lavoro come il tuo, sempre in bilico tra gioco e sperimentazione, tra pensiero astratto e reale, tra leggerezza e profondità, che ruolo ha l’ironia?
DM/ Non posso negare che l’ironia abbia un ruolo importante. È il mezzo che utilizzo per attrarre l’interesse dell’osservatore spingendolo a guardare la realtà da una prospettiva diversa.
GR/ Tema ricorrente della tua produzione è l’autoritratto. Nel tempo hai realizzato opere come, ad esempio, Selfportrait from another planet (2017), Autoritratto con cappello (2018), Selfportrait as Carmen Miranda (2020), Me and my multiple personalities having a party (2020). Come nascono simili lavori? Quali sono gli stimoli che alimentano una così ampia e spiazzante galleria di maschere?
DM/ Mi piace lavorare con immagini iconiche e reinterpretarle attraverso il filtro delle mie esperienze personali. Utilizzo degli alter ego per parlare di sensazioni intime nelle quali anche altre persone possono riconoscersi. La mia quotidianità, la vita di tutti i giorni con i suoi simboli, sono i focus della mia ricerca e spesso utilizzo immagini universali proprio per esprimere la mia intimità.
GR/ Dei trucioli, degli elastici, dei chewing gum o un mazzo di chiavi. In alcuni tuoi lavori, sembri ricercare la mimesi del reale attraverso la riproduzione di oggetti semplici, di uso comune. Secondo una certa visione filosofica “solo ciò che è vero può essere falsificato”. Nel tuo caso, che significato assume l’esercizio della “falsificazione”?
DM/ Non mi interessa la riproduzione fedele dell’oggetto in sé. Attraverso la traduzione scultorea voglio dare dignità a piccoli oggetti che trovo interessanti. Alcuni di questi sono da considerarsi come veri e propri autoritratti, come nel caso dello zerbino o della copia delle mie chiavi di casa. Se tutto si esaurisse nella semplice traduzione plastica di oggetti banali, scelti a caso, l’operazione non avrebbe, a mio parere, molto senso. Gli elementi che attentamente decido di tradurre in scultura spesso sono, nelle mie intenzioni, delle metafore di una specifica condizione o uno sguardo dentro il mio universo personale.
GR/ Il tuo è un linguaggio incline alla narrazione. Molti tuoi lavori suggeriscono trame possibili o alludono a storie, forse, incompiute. Quanto conta l’immaginario nella tua poetica?
DM/ Moltissimo. È da questo aspetto in particolare che si evince il mio passato da disegnatore. Mi piace creare storie intorno ai miei personaggi riproponendoli spesso in progetti successivi, facendo in modo che non si esauriscano in un singolo lavoro.
GR/ Nella tua produzione più recente mi sembra di scorgere le tracce di una complessità progettuale sempre più alta e gli effetti di un interesse, via via crescente, per le possibilità spaziali offerte da lavori installativi e ambientali. Più nello specifico, quali sono, oggi, le sfide che alimentano la tua ricerca?
DM/ Mi interessa cercare nuove soluzioni compositive ed installative per i miei progetti. Sto cercando anche di sperimentare altri materiali da integrare con la ceramica rendendo così la mia ricerca più complessa e ricca di sfaccettature. In questo percorso, l’elemento figurativo rimarrà sempre presente ma il mio obbiettivo è di reinterpretarlo ogni volta in maniera inaspettata.
Dall’alto: ME AND MY MULTIPLE PERSONALITIES HAVING A PARTY, 2020. Ceramica smaltata, 70x29x10 cm. ROGER, 2020. Ceramica smaltata, dimensioni reali. Per entrambe foto © Daniele Ragazzi, courtesy dell’artista e Studio Sales di Norberto Ruggeri.
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