di Loredana Barillaro
Loredana Barillaro/ Nina, è in corso a Milano, negli spazi della Basilica di San Celso, la tua personale dal titolo “Aperçues”, me ne parli? Che tipo di allestimento hai realizzato?
Nina Carini/ Ho creato una narrazione circolare, sei installazioni dialogano tra di loro e con lo spazio. Il tema presente in mostra è la vulnerabilità, la fragilità, non solo dell’essere umano, in questa mostra anche l’infinito ha bisogno di cure e attenzione. Avevo sempre pensato a questa realtà come a qualcosa di intoccabile e infrangibile, non è così. Penso a quando il raggio di luce si spacca e ci mostra lo spettro dei colori – in quel momento l’infinito ci parla della sua fragilità. Ogni opera è in stretta relazione con la luce – l’opera vive e scompare durante le varie ore del giorno. La mostra si intitola Aperçues, termine scoperto leggendo l’omonimo testo di G. Didi-Huberman, l’autore dedica un paragrafo intero a questa parola:
(…) je dis «aperçue» quand ce qui m’apparaît laisse, avant de disparaître, quelque chose comme la traîne d’une question, d’une mémoire ou d’un désir. Aperçues, du verbe apercevoir. Apercevoir, donc : voir juste avant que ne disparaisse l’être à voir, l’être à peine vu, entrevu, déjà perdu. Mais déjà aimé, ou porteur de questionnement, c’est-à-dire d’une sorte d’appel. (Aperçues, Georges Didi – Huberman, Les Éditions de Minuit, Parigi 2020)
Se la traducessimo in italiano potremmo usare instravisti o percepiti, i materiali sono tutti trasparenti o specchianti: vetro, bronzo lucidato a specchio, alabastro, acqua. Le opere tendono ad essere invisibili, immateriali e a trasformarsi nel tempo.
LB/ Che connubio si crea con lo spazio architettonico in cui ti trovi ad operare? Cosa succede quando esso risulta già fortemente connotato?
NC/ Penso che le migliori opere siano nate proprio da questo connubio, la Basilica di San Celso è uno spazio carico di energia anche vuoto, il lavoro dei mesi precedenti all’inaugurazione è stato proprio di dialogo con i vari angoli della Basilica, la scelta di usare materiali sensibili alla luce mi ha permesso di amplificare quell’idea di mistero che era già presente all’interno. Le sei installazioni sembrano tutte porte verso un altrove che non ci è dato conoscere. Mani come rami che toccano cielo, scultura in bronzo lucidato a specchio prodotta in residenza a Fonderia Battaglia è un’opera che mi è stata suggestionata dallo spazio in cui è collocata: l’abside. Sono rimasta catturata dalle due strisce dove mancano i mattoni, site in quella zona della basilica, e ho cercato di creare una fenditura, in quella sezione ci sono tre finestre da cui entra una luce naturale molto suggestiva e l’opera funziona come se si fossero aggiunte altre due strisce di luce in cui ci si riflette – sono due presenze mistiche. Parlano anche di una mia trasformazione, per la prima volta uso il mio corpo per produrre un’opera.
LB/ Che rapporto hai con il collezionismo? La mostra di Milano si caratterizza anche per “la presenza” del collezionista Enzo Nembrini.
NC/ Il rapporto con la Collezione Enzo Nembrini è un dialogo aperto, in continuo movimento. Ho conosciuto il sig.re Nembrini due anni fa mentre stavo lavorando all’installazione The indeterminacy of an encounter, poi realizzata per Fondazione Merz. È venuto nel mio studio ed ha acquistato una scultura a neon The house of a poet rests on the horizon, qualche giorno dopo ha voluto il mio portfolio e da lì a pochi giorni mi ha chiesto di visitare il suo spazio con l’intenzione di commissionarmi un lavoro scultoreo. Io non avevo mai pensato di lavorare con la materia, il mio modus operandi è aereo e avevo sempre visto la scultura come qualcosa di grave nel senso di pesante. Ma lo spazio era veramente affascinante, c’era l’acqua e tanta luce. In poco tempo è arrivata una visione, Venere Bugiarda, un’installazione presente in mostra con la riedizione Venere Bugiarda 3023. Nella versione primigenia sono collocate nove sfere di alabastro, un materiale che, nonostante la pesantezza intrinseca, riesce a trasmettere, per via della trasparenza di alcuni punti, una leggerezza particolare, in cui è la luce ad avere un ruolo portante. Ciascuna di esse reca l’incisione di una lettera, così da formare l’avverbio “per sempre”.
Nell’installazione originale è presente un sole di vetroresina mentre qui è un grande cerchio, creato attraverso trecento piccoli vasi di vetro soffiato entro cui sono due fiori, uno che presto si secca e un altro che viene regolarmente sostituito. Difficilmente utilizzo l’espressione “per sempre”. La faccio pronunciare a Venere, che orbita nella sfera interna del Sole e che per tradizione si associa all’amore. È come se Venere, girando intorno al Sole, gli dicesse ti girerò intorno per sempre. Non corrisponde, però, a verità perché il sole si ingrandisce continuamente e un giorno, anche se lontano, ingurgiterà i pianeti interni alla sua sfera» Portante anche qui è il ruolo della luce, che muta nelle diverse ore del giorno e ci consente di guardare le opere in modo diverso. Facendo una indagine sulla pittura e la luce sono rimasta affascinata da un’opera di Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, in cui è un vaso di vetro con un fiore, dove la luce si specchia. In quel dettaglio, nella parte sinistra del quadro ho trovato quello che cercavo.
Nina Carini, Aperçues, fino al 15 aprile 2023, Basilica di San Celso, Milano.
Foto © Lorenzo Palmieri. Courtesy dell’artista
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