di Maria Chiara Wang
Nelle ultime settimane la 57° Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia – è stata analizzata, sviscerata, dibattuta in quasi tutti i suoi aspetti. Se ne è parlato in termini di numeri (120 artisti partecipanti, di cui 103 presenti per la prima volta, provenienti da 51 paesi; 86 Partecipazioni Nazionali…), di argomenti trattati (otium/negotium; i libri e la scrittura; le gioie e le paure; le trame, le tessiture ed i filati; la magia; la terra; le tradizioni; la meditazione; il dionisiaco; i colori; il tempo e l’infinito…), di premi assegnati (Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale alla Germania di Anne Imhof; a Franz Erhard Walther come miglior artista; a Carolee Schneemann per la carriera…), di eventi collaterali e come termine di paragone nel confronto con le Esposizioni precedenti. Per questo diventa difficile raccontarne qualcosa di nuovo ed interessante. Mi limiterò quindi – influenzata dalla mia formazione – a concentrarmi sulla presenza della geografia e della cartografia nelle opere esposte. Iniziando dall’Arsenale, la scelta di Christine Macel di dedicare due trans-padiglioni, uno allo Spazio Comune ed uno alla Terra, ben dichiara la predisposizione della mostra verso questi temi.
Maria Lai si inserisce nel contesto antropologico della comunità e della collettività con la sua Geografia (1992). Qui la scrittura della terra avviene attraverso il filo ed il tessuto: il segno grafico diventa ricamo. Nella stessa “sezione” troviamo anche l’opera di Martin Cordiano Common Places (2015), uno studio del “rapporto dell’uomo con il mondo, con lo spazio e con i volumi e del modo in cui abitiamo i luoghi e li condizioniamo”. Abbastanza ironico il fatto che il Padiglione della Terra si apra con il video di un artista che di cognome fa Atlas…, mi riferisco a Kiss the Day Goodbye (2015) di Charles Atlas. Si prosegue, quindi, con il paesaggio di colonne di litio Future Fossil Spaces di Julian Charrière: una sorta di archeologia del contemporaneo che palesa l’influenza della Land art. E, a proposito di Land art, continuiamo questa carrellata con le griglie cartografiche della pioniera Michelle Stuart in cui le fotografie analogiche digitalizzate dei suoi viaggi vengono disposte in sequenza come capitoli di un libro o paragrafi di una storia per immagini. Lavori, questi, che tradiscono gli esordi della Stuart come disegnatrice topografica. Nel catalogo della Biennale figurano tra le opere di artisti in mostra, ma non esposte, anche Upside down political globe and Blue Marbleglobe di Hale Tenger, i Clusters (astri del sistema solare) di John Latham, il Planisfero di Sebastián Díaz Morales e Map of America di Juan Downey. Per quanto riguarda le partecipazioni nazionali, la Russia con il suo Theatrum Orbis, riecheggia – nel nome – il primo atlante moderno, ovvero il Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius (1570). Infine, da non tralasciare, a latere e della 57° Esposizione Internazionale d’Arte, la contestuale mostra – a cura di Luca Massimo Barbero – che la Fondazione Giorgio Cini dedica ad Alighiero Boetti, in cui sono esposte anche le mappe dell’artista torinese.
Dall’alto: Maria Lai, GEOGRAFIA, 1992. Filo e tessuto, 85×200 cm. Collezione privata, Pescara. Martin Cordiano, COMMON PLACES, 2015. Compensato, battiscopa e sfere di gesso, dimensioni variabili. Courtesy dell’artista.
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