Fulvio Morella | Le stelle che non ti ho detto

a cura di Elsa Barbieri e Sabino Maria Frassà

dal I febbraio al 29 giugno 2025

Museo Arte Contemporanea Cavalese, Cavalese (TN)

Fulvio Morella. In dialogo con l’infinito

di Sabino Maria Frassà

“L’eternità è un bel posto: me lo tengo stretto in questi tempi oscuri.” (Miodrag Pavlović) è l’essenza che anima il “braille stellato” di Fulvio Morella, protagonista della mostra “Le stelle che non ti ho detto” – un progetto espositivo profondamente sentito dall’artista a cui ci ha lavorato sin dal 2022. Morella ci invita a toccare il cielo con un dito, fondendo l’alfabeto tattile con una dimensione trascendente e universale, che non può che evocare il celebre gesto di Michelangelo nella Creazione di Adamo: le dita di Dio e dell’uomo che quasi si sfiorano, simbolo di un’origine divina e di quell’infinità tanto cara all’artista. Un’infinità che Morella ci ricorda risiedere dentro ciascuno di noi, preziosa e in attesa di essere riscoperta. Queste opere ci invitano a oltrepassare il “Sipario” dell’esistenza, spingendoci a vivere con autenticità e consapevolezza. L’arte di Fulvio Morella, in tutta la sua complessità e ricchezza, si trasforma così in un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra la materia e lo spirito, diventando uno strumento per farci tendere, sfiorare e abitare l’infinito. La continua ricerca della perfezione formale, evidente in ogni sua opera, non è così un mero esercizio estetico, ma una tensione profonda, un moto interiore che si plasma e si riflette nella materia. Le sue creazioni parlano il linguaggio dell’anima, rivelando quella spinta incessante verso l’oltre. L’artista stesso lo esprime in un’opera, citando le parole di Richard Bach ne Il gabbiano Jonathan Livingston: “La perfezione non ha limiti.”

Il titolo del percorso espositivo “Le stelle che non ti ho detto” richiama una dimensione di intimità, mistero e incompiutezza, che riflette il mosaico di sentimenti di cui è fatta ’esperienza umana: amori vissuti o taciuti, silenzi densi di significato, connessioni profonde e rimpianti per parole mai pronunciate o che non trovano voce. Queste parole, ripetute nella mente o, più spesso, solamente sussurrate a noi stessi, si trasformano in stelle sospese nel cielo dell’anima – irraggiungibili ma sempre presenti. Trattenute dal tempo e dalle circostanze, continuano a brillare, illuminando la trama invisibile della nostra interiorità e il cuore di ciò che siamo. Questa potenza silenziosa, che non riesce a traboccare, si riflette nelle “stelle” che l’artista utilizza per sostituire i punti del braille, evocando qualcosa di infinito e distante, ma al tempo stesso sublime. Le stelle diventano simboli di sogni e desideri (in)espressi, pensieri che restano sospesi in attesa di essere svelati.

L’artista si racconta attraverso diciotto opere, diciotto “citazioni” che attraversano epoche, culture e sensibilità diverse, frutto di stratificazioni senza tempo. Queste riflessioni non offriono risposte ontologiche definitive né svelano rivelazioni personali o autobiografiche. Piuttosto, Fulvio Morella ci conduce in un viaggio interiore, un’esplorazione che sfiora le corde più profonde della nostra esistenza. Nasce così un dialogo immaginifico, a tratti visionario tra l’artista, lo spettatore e se stesso, in cui il pensiero si modella e si esprime attraverso le immagini evocate dalle opere ricamate. Il percorso si snoda tra parole che diventano stelle. Da La Bibbia a San Francesco, da Seneca a Nietzsche, il viaggio si addentra nei territori della psiche con Freud e Jung, lasciandosi ispirare dalle voci di Baudelaire, Emily Dickinson, Saint-Exupéry e Richard Bach (Il gabbiano Jonathan Livingston). Prosegue poi fino a vibrare con i versi di Pierangelo Bertoli, del poeta serbo Miodrag Pavlović e del maestro africano Ngũgĩ wa Thiong’o. Ne emerge un racconto intimo e frammentario, ma straordinariamente coinvolgente – un poema epico contemporaneo in cui le parole da sole non bastano. Per comprenderlo appieno servono emozioni, silenzi e condivisione. Fedele alla sua poetica, Morella ci ricorda che, al di là delle differenze, siamo tutti esseri umani, legati da emozioni universali e da una stessa “genesi e fine”. Non a caso, l’opera che apre la mostra è “Numera stellas, si potes” (prova a contare le stelle, se puoi), ispirata al libro della Genesi.

Dopotutto, l’essere umano ha sempre guardato al cielo per sperare e sognare. Quella vastità senza confini diventa rifugio e specchio delle emozioni più profonde. Il cosmo, come l’anima, è in continuo mutamento, ma rimane una presenza costante. Le frasi che l’artista ritrova nei suoi cieli ricamati appaiono così come frammenti di luce che squarciano il buio dell’esistenza, celebrando la bellezza delle ombre e la resilienza dell’essere umano. Ogni filo racconta una storia di consapevolezza e memoria, in cui la fragilità si trasforma in forza. Le stelle custodiscono una dimensione siderale di eternità e universalità, che risuona dentro di noi. Dobbiamo dunque andare oltre il senso della vista, imparando a vedere in profondità, oltre i confini del visibile. E Non può essere un caso che l’artista associ la parola “pupilla” (titolo di diverse opere) alle stelle, partendo dalla consapevolezza scientifica che, ormai, nemmeno i telescopi più potenti sono sufficienti a esplorare l’universo. Anche la scienza, come l’arte, richiede di superare la visione prettamente oculare e l’attaccamento a ciò che viene percepito dalla retina. In fondo, la scienza ci dimostrare ogni giorno di più la profonda verità racchiusa nella celebre massima del Piccolo Principe, spesso citata dall’artista: “Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi.” Allo stesso modo, le frasi ricamate sulle opere – “Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia” (Jung) e “Nell’impossibilità di poterci veder chiaro, almeno vediamo chiaramente le oscurità” (Freud) – ci ricordano che la vera essenza delle cose sfugge spesso alla vista. È celata oltre il visibile, raggiungibile solo attraverso introspezione e sensibilità. Così, nelle mani di Morella, l’indagine interiore e il dialogo profondo spalancano le porte a una comprensione autentica e profonda del mondo.

Se è vero che le opere più riuscite sono specchi, allora, al termine della visita, questi nuovi cieli – non troppo – impossibili ci appartengono già. Sono diventati riflessi di noi stessi, frammenti di un infinito che ci abita da sempre. Ci fanno riflettere su tutte quelle stelle-parole che non ci siamo (ancora) detti, nemmeno nel più profondo silenzio interiore. Affiorano ricordi ed emozioni, accompagnati dalle nostre canzoni, poesie e frammenti di frasi più intime e personali – echi di chi non c’è più, di un amore vissuto nel passato o di uno appena nato, delicato e vibrante. E da queste nuove stelle disvelate potranno nascere infiniti universi e nuovi mondi, che avremo la possibilità di sfiorare con un dito, magari proprio nell’istante sospeso prima di addormentarci. Perché, come in quella canzone: “Io la sera mi addormento e qualche volta sogno perché voglio sognare…” – Pierangelo Bertoli. Ecco, forse, la mia prima pupilla verso l’infinito è nata.

 

Per info:

CRAMUM: infocramum@gmail.com

MUSEO: 0462 235416museo@comunecavalese.it

 

© Francesca Piovesan, Courtesy Fulvio Morella, Cramum, Museo Arte Contemporanea Cavalese. 

 

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