DettagliataMENTE – Le fotografie di Vito Faraci in mostra a Gibellina

di Sandra Tornetta |

Dopo la proclamazione di Gibellina a Capitale dell’Arte Contemporanea per il 2026, sembra che il sogno avviato più di cinquant’anni fa da Ludovico Corrao si stia finalmente realizzando, grazie all’impegno del sindaco Salvatore Sutera. C’è nuovo fermento fra le piazze e le strade di quel grande cantiere-sogno che ha tentato di rifondare le radici di un territorio attraverso l’arte. La mostra fotografica di Vito Faraci, curata da Giuseppe Maiorana, è ospitata all’interno della Rassegna Plenaria, presso lo spazio Belice/Epicentro della memoria viva, un luogo che è anch’esso frutto di un tentativo di rimodulare l’approccio con la memoria, una sorta di archivio collettivo dei fatti che scossero la Valle del Belice anche dopo il terremoto, dalle interviste di Danilo Dolci alle cartoline con le macerie. La mostra si snoda attraverso un percorso di 32 fotografie, un lungo racconto molto lontano dalle logiche nostalgiche a cui spesso viene associato il bianco e nero; a differenza di certe posture neorealiste, le fotografie di Faraci aprono spazi di narrazione poetica e la selezione dei dettagli racconta un altrove immaginato, dove i tagli di luce e le tensioni spaziali diventano i segmenti di un discorso fatto per frammenti, un discorso che è insieme evocativo e speculativo. In questo senso Faraci compie davvero su Gibellina quell’azione di rimemorazione di cui parlò Leonardo Sciascia all’indomani del terremoto che distrusse la Valle del Belice nel 1968, una rimemorazione intesa come necessità di dotarsi di nuova identità, una capacità di accendere nuove storie. Perciò, lontano dalle dinamiche di ricostruzione civile che hanno caratterizzato con dolore e con fatica la formazione di una nuova dimensione comunitaria in questo territorio così lungamente martoriato, l’operazione di Faraci mira dritta alla parte emotiva e dalla rappresentazione della sua realtà intima emerge il legame ancestrale con la sua terra. Sono foto che nell’analisi del micro dischiudono il macro, dettagli che svelano come la bellezza ami nascondersi.

Gli spazi che Faraci ricrea non sono quelli del degrado e dell’incuria a cui per anni è stato sottoposto l’esperimento di Ludovico Corrao; qui la rovina diventa magia. I tagli di luce sono squarci che ricordano i Concetti Spaziali di Fontana; le forme rimodulate dall’obiettivo della sua Canon Eos 1200D diventano segni primordiali analoghi a quelli di Accardi e Consagra, che proprio a Gibellina hanno prodotto alcuni degli interventi di maggior pregio artistico. E’ lo stesso artista che conferma il suo fortissimo legame con le architetture di Gibellina raccontando di come lo abbiano quasi costretto ad intraprendere questo viaggio, un gioco sul percetto visivo che tenta di restituire la plasticità di certe forme attraverso il filtro dell’irrazionale, o come direbbe Jodorowsky, del sogno lucido. Come ebbe a dire Aurelio Pes, per un’esposizione da lui curata nel 2017 si tratta di “luoghi privi di centro in cui a dominare è la figura dell’artista stesso, che con movenze da antico sciamano striscia e si contorce nel tentativo di restituirci un’intuizione bruciante dell’essere al suo primo sorgere”. L’essenza trasformativa della realtà sta proprio in questo processo creativo, un atto esplorativo che invita a trovare relazioni audaci fra spazio urbano ed emozioni.

 

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