BIENNALE ARTE 2022. SI, NO, NON SO!

di Loredana Barillaro

La Biennale Arte di Venezia è uno di quei momenti si aspettano sempre con molto entusiasmo; è certamente un evento con la E maiuscola, e su questo nessuno ha dubbi; sono le aspettative, il tornare nella preziosa città lagunare ed incontrare tutto il mondo che ruota e lavora attorno all’arte contemporanea a spingere alla spedizione veneziana e i giorni della pre-apertura sono certamente i più ambiti. Incontri, fotografie, occorre dare prova di esserci stati, e su questo cadiamo tutti. Mostre, artisti, curatori, al di là delle personalità che ne percorrono gli spazi in lungo e in largo, bisogna, anche solo per un attimo, riflettere sul contenuto della Biennale oltre che sul contesto.

La Biennale è certamente mainstream, è sistema, e forse per questo, nel bene o nel male, la adoriamo tutti. Certo è che quando la si frequenta ad ogni edizione la si guarda, man mano, in maniera sempre più disincantata, si riesce a cogliere i punti di forza, ma anche le criticità, mantenendo sempre e comunque una personale lettura. Dicevamo dunque che la Biennale è per sua natura un’istituzione – e pertanto sistema – e a questo punto appare chiaro che avrebbe urgente necessità di rinnovare se stessa; ha fatto il suo tempo, e rischia, ogni volta, di ripetersi, di apparire stantia, come se avessimo a che fare con un déjà-vu. E anche se cambiano i curatori spesso non è facile non risultare scontata, sarà perché essendo e facendo sistema, non riesce più ad osare a tralasciare quel troppo spesso necessario fare drammatico, macabro che in quanto linguaggi risultano, nell’immaginario collettivo legato al contemporaneo. certamente efficaci strumenti agli occhi dei più.

Credo che la prossima Biennale dovrebbe essere curata – nulla togliere a “Il latte dei sogni” di Cecilia Alemani, di grande esperienza e preparazione, o a taluni che l’hanno preceduta – da un curatore lontano dal sistema, un po’ defilato, ma che forse proprio per questo potrebbe dare nuova linfa ad una rassegna che rischia di apparire sempre più di mera facciata. Una facciata triste, una di quelle cose che ti tocca lo stomaco più che il cuore e la mente; c’è bisogno di rintracciare allora linguaggi capaci a rapportarsi con la realtà, che riescano a fornire una lettura efficace, disincantata ma che non producano necessariamente ribrezzo. E comunque troppa roba, impossibile raccapezzarsi e capire cosa sia di chi.

Diverse le Partecipazioni Nazionali degne di nota, sicuramente fra gli altri abbiamo apprezzato Azerbaijan, Kosovo, Malta, Italia, Libano, Sultanato dell’Oman, Nuova Zelanda, Uzbekistan, Gran Ducato del Lussemburgo, ma anche Austria e Emirati Arabi Uniti in cui il tema di questa edizione è stato attivato con un modo distante da quel fare macabro di cui prima.

E Arriviamo al Padiglione Italia, Storia della Notte e Destino delle Comete, come sempre circondato da infinite polemiche e voci discordanti; bello, brutto, costoso, fantastico, poetico e chi più ne ha più ne metta. Anche qui un intenso scontro tra fazioni. A noi è piaciuto, se “piaciuto” può dirsi un termine adatto a descrivere con cervello e sentimento un’opera d’arte chiamata a fare da capofila a tutta l’arte italiana, trattandosi del lavoro di un unico artista. Poetico e tecnico, intenso e lucido, Tosatti ha voluto raccontare la sua Italia e lo ha fatto evidentemente nella maniera più efficace possibile, in una maniera che ne rendesse chiaro il discorso. E allora, cosa occorre criticare? Il concetto, l’idea, possiamo sindacare il perché di questo progetto? Ci poniamo la stessa domanda per gli altri padiglioni?

Certo a quello italiano ci sentiamo più vicini e coinvolti necessariamente. Gian Maria Tosatti ci racconta, in fondo, del fallimento del sistema italiano, l’arresto, oggi più che mai, di una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Entrare in una fabbrica dismessa ci permette forse di guardare con occhi necessariamente disillusi, ma anche con un pizzico di nostalgia, quanto abbiamo intorno, quanto appartiene alla nostra storia recente; un legare insieme memoria collettiva e memoria personale. Un luogo in cui la presenza umana è soltanto evocata, una presenza-assenza che sottolinea in maniera ancora più drammatica il momento in cui è avvenuto il distacco del concetto di lavoro da quello di progresso e di benessere sociale. Forse solo un ricordo all’interno di una narrazione in cui questo gap – che a un certo punto si è concretizzato e che difficilmente si riuscirà a colmare – emerge in maniera chiara.

Quello che ci è piaciuto di meno è il “divismo” imperante nel contesto italiano dell’arte, l’eccessiva tracotanza della politica, delle istituzioni; al Padiglione Italia, nel giorno dell’inaugurazione, si sono viste scene francamente difficili da vedersi in altri padiglioni nazionali. Un eccessivo formalismo che nella sua boria certo non giova all’arte, ma arreca solo danni. Altrove potevi tranquillamente stringere la mano al Ministro della Cultura e magari bere assieme anche un bel bicchiere di buona birra.

Dall’alto: Paula Rego, Il latte dei Sogni, a cura di Cecilia Alemani. Service and Sport, di Lena Knebl e Ashley Hans Scheirl, Padiglione Austria, a cura di Karola Kraus. Storia della Notte e Destino delle Comete, di Gian Maria Tosatti, Padiglione Italia, a cura di Eugenio Viola. Per tutte Courtesy La Biennale di Venezia.

© 2022 BOX ART & CO.

 

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