Alla ricerca di stabilità spirituale nella materia | La via dell’Oro allo Studio la Linea Verticale di Bologna

di Enrico Turchi |

Lo Studio la Linea Verticale di Bologna ospita un gruppo di sei artisti che esplorano i significati intrinseci dell’oro nella molteplicità dei linguaggi del contemporaneo.

Può oggi l’oro, colore e materiale, avere lo stesso peso che la tradizione secolarmente gli attribuisce in termini di trascendenza e spiritualità? Dalle lingue dorate dei faraoni, all’Atena Parthènos di Fidia e i mosaici paleocristiani, fino all’ingerimento della “Golden sirt” nelle attuali pratiche alimentari, un filo diretto che ha origine dalla trasformazione del piombo nella scienza e nell’uso dell’alchimia. La mostra La via dell’Oro presenta il lavoro di sei artisti contemporanei secondo uno sguardo che abbraccia diverse generazioni, nel tentativo di scoprire una profondità ulteriore e un più alto grado di consapevolezza sotto l’apparenza della forgia al singolo manufatto.

Proposta dallo Studio la Linea Verticale di Bologna nelle due sale interne della galleria, l’esposizione ha inaugurato giovedì 12 dicembre 2024 e sarà fruibile fino al 18 gennaio 2025. Un allestimento leggero e arioso conferisce risalto alle opere, che dal bianco della parete trovano ragione di un loro pacato affiorare, anche secondo una scansione precisa e ragionata all’interno dello spazio.

All’ingresso ci accoglie la tela dell’artista iraniano Navid Azimi Sajadi, rivolta alla lettura di lontani codici interculturali in bilico tra la mitologia e la storia. L’oro qui è davvero accecante, ed è necessario uno sguardo di sbieco per apprezzare forme che si fanno man mano figura nell’immagine. Gli attributi di Mitra, divinità romana con caratteristiche comuni a antichi culti sparsi per il globo, emergono come costellazioni di un linguaggio polifonico, adatto a indagare i rapporti tra Medio Oriente e Occidente.

Quindi Solve et Coagula di Sofia Degli Esposti, che presenta una serie verticale di nove tavolette quadrate dalle sagome aleatorie. Oggetti legati alla memoria personale il cui profilo è ricavato dalla proiezione dell’ombra, successivamente riempita in oro. Come nel processo alchemico l’inconscio sembra conquistare una sua stabilità e il buio è tramutato in luce e colore. È così forse possibile riconoscere in questi ricordi sfumati tracce anche della propria interiorità.

Etrasta Scura di Simone Pellegrini appare invece come un ampio brandello di carta da spolvero riempito dai segni corposi di una simbologia complessa e arcana. Colpisce nel caso specifico l’inserto di grosse gocce gialle sul lato destro dell’opera, intervento che anche solo per la cromia lo distingue da altri lavori di simile fattura. Mistero adatto alla “Via dell’Oro” che fa del rinnovamento costante l’unica chiave efficace per il completamento di sé e verso forme alterne allo stato di trascendenza.

Entrando nella seconda sala, risalta poi Rifugio di Zeno Bertozzi, piccola scultura appesa da cui emerge marcato il sentore della materia. Con sintesi ponderata del linguaggio visivo, sopra una base in gesso è posta la ceramica tratta dalla cottura di una vera cella della vespa vasaio. Una “Grundform” di cui apprezzare finezza e preziosità, tra la porosità dorata degli incavi del nido, capace di veicolare un messaggio preciso nell’utilizzo dei segni plastici minimi adottati.

Di Alcide Fontanesi, artista noto per il solido apporto in scultura scomparso a settembre 2020, sono esposti una serie di fogli tratti dai taccuini del 2018, una pratica assidua di pensieri e appunti spaziali, di cui si è voluto rimarcare la tenacia riempiendo tutta la parete in fondo alla sala. Come un lascito fatto di linee dorate su fondo nero, prossimo a generare nell’ambiente aperto e condiviso i tratti caratteristici della sua “scultura di superficie”.

Infine Ragazzo dal chiodo d’oro di Michelangelo Galliani riprende fattezze di morbidezza leonardesca nel volto scolpito di un soggetto in continua evoluzione, realizzato a partire da un precedente blocco scultoreo. Le trame di un ordito stridono con il chiodo d’oro infilato in mezzo al ventre della figura, mentre la crudezza del taglio non finito del marmo partecipa al fascino che ricaviamo dal materiale grezzo nella restituzione di un’immagine complessiva dell’opera.

Verso un centro di gravità permanente, titolo completo dell’esposizione, ci mostra così quanto sia oggi imprescindibile la ricerca di armonia spirituale, anche attraverso approcci eterogenei all’uso del materiale, e lo spazio del pensiero finalmente un punto fermo in mezzo al più completo disordine del reale.

 

Per tutte: Veduta della mostra. Courtesy Studio La Linea Verticale.

 

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