SOCIAL MEDIA & ARTE
con Giuseppe Petrellese, Silvio Salvo, Eleonora Minna
– Loredana Barillaro
L’importanza dei social media nella comunicazione e nella promozione dell’arte e dei luoghi ad essa deputati. Cosa fa un social media manager? Quando compare questa figura e come si forma affinché possa diventare una nuova, vera e propria, professione? Come è cambiata nel corso dell’ultimo decennio la comunicazione dell’arte con il supporto dei social e quanto è importante per il pubblico poter fruire dei contenuti con l’intermediazione del social media manager? Scopriamo quindi come mutano i codici di linguaggio da adottare per raggiungere tutte le fasce di pubblico e come aumentano, di conseguenza, gli indici di gradimento. Quella particolare intuizione che permette al messaggio di divenire indiscutibilmente accattivante. E scopriamo anche che nella complessità di questa professione un pizzico di ironia fa sempre bene, in un approccio, di sicuro, per nulla improvvisato…
Il social media manager gestisce l’identità digitale di un brand, di una società o di un’istituzione sui social media. Il suo compito è quello di veicolare contenuti a un pubblico interessato o potenzialmente interessato al fine di creare e far crescere una community che possa fungere da brand ambassador: ad esempio i protagonisti dei canali social del Madre sono i visitatori. Fondamentale è la creazione di contenuti ad hoc per i propri profili: ogni piattaforma ha pubblici differenti ed esige un tone of voice adeguato. La strategia del Madre è quella di creare una community quanto più omogenea possibile avvalen dosi della propria presenza su più canali come Facebook, Instagram, Twitter, Spotify, WhatsApp e Telegram. La figura del SMM nasce con il web 2.0 e l’avvento di piattaforme social in cui il rapporto con gli utenti è di fondamentale importanza. Facebook, ma prima ancora MySpace e i forum, sono stati dei campi di prova per la formazione di numerosi professionisti del settore. Al momento in Italia non esistono corsi accademici che sviluppino competenze specifiche su questo settore (se non alcuni master), io mi sono laureato in Comunicazione Digitale ma è sul campo e in particolar modo attraverso il periodo di Stage in Scabec (Società in house della Regione Campania per la valorizzazione dei Beni culturali) che ho appreso e formato la mia esperienza. Il SMM è una nuova professione, lavora nella comunicazione digitale e si occupa della creazione di contenuti, advertising, visual storytelling, analytics e gestione della community. Le piattaforme social rivestono un ruolo importante nelle nostre vite, nel caso del mondo dell’arte costituiscono da un lato un nuovo spazio per le istituzioni, gli artisti e i galleristi, dall’altro – e questa è la parte più divertente e stimolante – stanno modificando il rapporto dell’utente con l’arte stessa. Ora, in molti hanno compreso le potenzialità del digitale, come fa notare Giacomo Nicolella Maschietti, il gallerista statunitense Larry Gagosian ha recentemente assunto il fondatore di Artsy per il rilancio della propria comunicazione digitale e si può immaginare che nel futuro tanti altri lo seguiranno. Staremo a vedere. In Italia esistono eccellenze nella comunicazione dell’arte: non si può parlare del tema senza citare la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e Silvio Salvo che con la sua strategia social ha fatto scuola e ispirato una serie di SMM di questo settore (tra cui il sottoscritto), Giulio Alvigini con il suo progetto social de- dicato al sistema dell’arte contemporanea italiana “Make Italian Art Great Again”. E ancora: le pagine social di Arte Fiera Bologna, Palazzo Strozzi, Artissima e Contemporary Italian. Per quanto riguarda le istituzioni pubbliche trovo eccellente il lavoro de La Galleria Nazionale di Roma.
Giuseppe Petrellese è Web, Digital & Social Media per Scabec S.p.A./Museo Madre di Napoli.
Un social media manager di un’istituzione culturale deve essere in grado di coinvolgere il pubblico e il “non pubblico” attraverso un linguaggio adatto ai social. Il caso della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è un caso leggermente diverso da quello di altri musei o fondazioni: noi tentiamo di intercettare anche chi non è appassionato di arte contemporanea attraverso l’infochaostainment. Informiamo sulle nostre mostre e attività attraverso cortocircuiti mediatici e l’intrattenimento. Il caos è equo, sostiene il Joker. Noi siamo democratici proprio perché ci rivolgiamo a tutti (una delle mission della Fondazione è ampliare il pubblico dell’arte contemporanea), dall’appassionato delle arti visive a chi non è mai entrato dentro un museo. Sui social si va anche per divertirsi, quindi con l’ironia e con le contaminazioni pop tento di scardinare il principio che a contenuti di alto valore culturale corrisponda una forma pesante. Negli ultimi 10 anni è cambiato tantissimo: se qualche anno fa un nostro post su Facebook arrivava anche a 400 like ora è praticamente impossibile. La sponsorizzazione è quasi un obbligo se vuoi che i tuoi contenuti raggiungano un’ampia fetta di pubblico. Personalmente punto molto di più su Instagram. Twitter lo utilizzo per condividere (anche) la rassegna stampa. Concludo: un social media manager, se può scegliere, posterà l’opera più instagrammabile, quindi c’è sempre un filtro estetico nella divulgazione dell’arte contemporanea.
Silvio Salvo è Social Media Manager della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
La definizione di social media manager in una realtà museale, che è quella che conosco meglio, è parziale. Chi si occupa di redazione digitale in un museo ha il compito di proporre contenuti, di condividerli con le altre professioni (la didattica, il marketing, chi si occupa di eventi), ed elabora le risposte del pubblico che è costituito non solo dai visitatori reali, ma anche da una fetta di audience che si riconosce nella vision e nelle idee che il museo diffonde attraverso il web, pur essendone fisicamente lontano. Sono una Storica dell’Arte e dal 2011 sono iscritta all’Ordine dei Giornalisti. Le piattaforme digitali esistono dal 2008, ma la consapevolezza della necessità di professioni specifiche arriva più tardi e si arricchisce di professioni sempre nuove. Le ultime e più importanti? Il data journalist, il video maker, il graphic designer. Nell’ultimo decennio si è arrivati a una consapevolezza: il contenuto è fondamentale, i musei hanno un’enorme banca dati e per questo un’enorme responsabilità. Di conseguenza, il compito principale di chi si occupa di contenuti digitali è analizzare questo patrimonio, decidere cosa trasmettere ai pubblici e farlo nel modo più intellettualmente onesto possibile. Ciò si scontra però con un dato di fatto e cioè che l’algoritmo delle piattaforme web privilegia sempre più immagini e contenuti di testo brevi (oserei dire molto vicini al format pubblicitario). Pertanto, la domanda su cui ci stiamo interrogando è: i musei potranno continuare la loro attività di informazione e divulgazione, oppure saranno costretti a inseguire quella di promuoversi? Il modo in cui le istituzioni culturali affronteranno questa sfida, che è già in atto, è la più grande responsabilità verso la loro identità e verso i pubblici.
Eleonora Minna è una Storica dell’Arte e Giornalista. Svolge attività di consulenza sul marketing e la comunicazione digitale per alcune realtà museali, come il Nouveau Musée National di Monaco (Montecarlo), il Museo Marino Marini di Firenze e il Museo Musja di Roma.
Dall’alto: Un ritratto di Giuseppe Petrellese. Courtesy Giuseppe Petrellese. Un ritratto di Silvio Salvo. Courtesy Silvio Salvo. Eleonora Minna in un ritratto di © Umberto Poto. Courtesy Eleonora Minna.
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