LA PELLE – LUC TUYMANS
Palazzo Grassi – Venezia
– Martina Lolli
Quanto siamo abituati alle immagini fotografiche? E quanto a quelle pittoriche? Queste domande sembra- no nascondersi fra le pennellate impastate di colori umidi di Luc Tuymans che viene celebrato da Pinault con la sua prima personale in Italia. La mostra è aperta dal 24 marzo e attraversa le sale di Palazzo Grassi di Venezia con più di 80 opere che rimarranno visitabili fino all’inizio del nuovo anno. Sono tutti oli su tela, meno la prima opera, su cui si può inavvertitamente passare senza accorgersene: si tratta di un brillante mosaico che tappezza il pavimento dell’atrio centrale del piano terra del palazzo di cui intuiamo la silhouette di alberi neri su sfondo bianco. È solo con la dovuta distanza – affacciandoci dai piani superiori – che riusciamo a cogliere la rappresentazione di Schwarzheide, la cui iconografia viene recuperata da Tuymans dai taccuini di Alfred Kantor. Tale immagine nasce proprio con l’intento di essere celata, poiché si tratta di un disegno realizzato dal detenuto Kantor nel campo di lavori forzati di Schwarzheide in Germania. Il disegno-messaggio di Kantor venne tagliato in strisce per essere poi ricomposto nelle mani del destinatario, allo stesso modo Tuymans rimette in scena l’impossibilità di fruire immediatamente il messaggio: l’attesa diviene chiave di lettura dell’immagine. Scorrendo fra le sale di Palazzo Grassi ci si accorge che il legame che Tuymans intesse con la storia e i fatti di cronaca viaggia in parallelo. Questi ultimi, captati nella loro riconoscibilità di icone pop, vengono filtrati dal passaggio attraverso i media: l’artista seleziona immagini dal flusso in cui siamo immersi, le fotografa, le rende liquide; lascia che passino da un medium a un altro e che riconvertano un po’ la loro anima in tale passaggio; le epura di dettagli significativi che possano rimandare a un contesto marcato e infine le scarnifica per livellarle con colori esangui. Ce le restituisce “vergini”, poiché prive di appigli: dalla natura morta al ritratto di Issei Sagawa (il cannibale giapponese che Tuymans ha immortalato con lo smartphone da un documentario in tv e che poi ha riportato in olio su tela); dalle opere dedicate al nazismo alle immagini livide di dettagli di parti del corpo fino ai paesaggi “fake” costruiti dall’artista o immortalati con la macchina fotografica da una precedente rappresentazione e poi dipinti. Tuymans mette in questione l’immagine liquida dei media – quella che scorriamo con superficialità da uno schermo a un altro – e il suo portato anestetico, ne amplifica la distorsione prospettica e psichica. Quali sono i codici per leggere le immagini fotografiche? La nostra capacità critica è abbastanza sviluppata da decifrarne il senso? Tuymans lavora come un anatomopatologo: scorpora le fotografie che costituiscono il suo bagaglio, ci costringe a porci domande dinanzi a esse per ricavarne una narrazione personale. A detta della curatrice della mostra, Caroline Bourgeois, la pittura di Tuymans contempla un vuoto nell’immagine per dare la possibilità di poter reinterpretare la storia. Tuymans risponde all’imperativo morale lanciato da Didi-Hubermann nel saggio Immagini malgrado tutto: compito dell’artista è quello di aprire l’immagine, ma allo spettatore si lascia il dovere di penetrare la ferita critica da lui aperta, per rinegoziare i significati di un’iconografia vissuta in modo passivo.
(from left to right) Luc Tuymans, STILL LIFE, 2002, Pinault Collection, WILLIAM ROBERTSON, 2014, The Broad Art Foundation. Installation View at Pa- lazzo Grassi, 2019 © Palazzo Grassi, Photography by Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti.
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