UNO SGUARDO FRA LʼITALIA E NEW YORK
Giorgio van Straten
Il mio lavoro consiste nel promuovere la cultura italiana a New York e i newyorkesi adorano la nostra cultura, seguono con entusiasmo le nostre iniziative e sono molto disponibili a collaborare con noi. Dunque tutto facile? No, perché la loro idea di cosa sia la cultura italiana è molto legata alla tradizione, alla grande arte del passato e ai nostri stili di vita, molto meno alla contemporaneità. Per questo gran parte del mio lavoro consiste nel cercare di promuovere la cultura e la produzione artistica di oggi, facendo capire che se in una città come New York ci sono così tanti italiani impegnati nei diversi campi del sapere e della produzione culturale, spesso chiamati qui proprio dagli americani, è perché anche gli italiani viventi, non solo quelli morti da secoli o da decenni, sono in grado di esprimere contenuti e di creare opere di assoluto valore a livello internazionale. Da quando sono arrivato a New York, nel luglio del 2015, abbiamo ospitato nei locali dell’istituto alcune mostre importanti dedicate ad artisti italiani contemporanei: IT OCCURS TO ME THAT I AM AMERICA dall’8 maggio al 9 luglio 2016 dedicata a otto giovani artisti italiani che lavorano a Manhattan e dintorni, e NOW HERE IS NOWHERE, che ha chiuso da poco, organizzata insieme all’America Academy in Rome, e che vedeva la presenza di tre artisti italiani e tre artisti americani. Ma ci siamo occupati anche di illustratori (altre due mostre: una di Emiliano Ponsi e Olimpia Zagnoli, l’altra centrata sugli autori di copertine di libri), fotografi (in mostre collettive dedicate ai migranti e a Roma) e designer. Ho invece deciso, per motivi che saranno facilmente comprensibili, di evitare personali, non credo sia compito di un istituto scegliere nel gran numero di artisti che operano sulla scena italiana e internazionale. Io almeno non ne ho la competenza e non voglio soccombere alle mille pressioni per ospitare l’uno o l’altro, o eleggere i miei gusti personali a parametri critici. L’altro importante momento dedicato all’arte contemporanea è il “Premio New York”, attraverso il quale due artisti italiani under 40 vengono ospitati per sei mesi ricevendo un contributo per le loro spese e due studi negli spazi dello ISCP (International Studio and Curatorial Program) di Brooklyn. Nel fare questo lavoro di promozione dell’Italia contemporanea ho trovato dei preziosi alleati sia americani (vedi appunto il caso dell’American Academy) sia italiani. In particolare è stata una grande oppurtunità l’apertura, pochi anni fa, di CIMA (Center for italian modern art), una struttura collocata a Soho, frutto della volontà e dell’impegno di Laura Mattioli e dedicata ad attività espositive e a fellowships incentrate sull’arte italiana del Novecento ma con incursioni anche nel contemporaneo. Le loro mostre, ultima quella dedicata ad Alberto Savinio, hanno consentito uno sguardo nuovo e più attento su figure centrali della nostra arte recente. Né posso dimenticare la mostra che quasi mi ha accolto all’arrivo qui, quella indimenticabile dedicata a Burri e ospitata dal Guggenheim Museum.
Ma il caso che mi sembra più strardinario è quello dell’apertura di Magazzino Italian Art, un grandissimo spazio, un museo in effetti, aperto a Cold Spring, un’ora di treno a nord di New York, da due collezionisti di arte italiana, e in particolare di arte povera, Nancy Olnick e Giorgio Spanu. Già il fatto che si tratti di una newyorkese e di un italiano è significativo e simbolico. Ma solo visitando il loro spazio, che rivaleggia con quel monumento all’arte minimalista che è DIA Beacon (fra l’altro collocato a una sola fermata di treno di distanza), ci si può rendere conto di che significato abbia un progetto come il loro, possibile solo in una realtà tanto ricca di risorse economiche che di spirito da mecenati quale è New York. Con Magazzino abbiamo iniziato un proficuo rapporto di collaborazione pubblico/privato, una sinergia importante che ha portato all’istituto una mostra di documentazione fotografica sulla costruzione del museo (le foto erano di Marco Anelli), ma anche la concessione di prestiti importanti da parte loro, per esempio quelli di Dubuffet e Carla Accardi in una mostra sull’arte in Europa alla metà degli anni Cinquanta che abbiamo organizzato lo scorso maggio. Le risorse su cui possono contare gli istituti di cultura sono abbastanza limitate, solo un lavoro di costruzione di una rete di relazioni può ovviare a questa limitatezza, solo la collaborazione con tutte le realtà che sono sinergiche nel nostro lavoro di promozione apre spazi reali alla diffusione della nostra cultura. In questi due anni e mezzo di presenza a New York abbiamo collaborato con oltre sessanta istituzioni pubbliche e private, prevalentemente americane. E abbiamo comunque cercato di promuovere anche una serie di presenze italiane in musei e gallerie. Posso dire con orgoglio che pure in una realtà così ricca di proposte e di offerte culturali, in quella che, detto senza provincialismo, rimane ancora la capitale del mondo, siamo riusciti, grazie a questa rete, a guadagnare una maggiore attenzione e interesse verso la nostra arte contemporanea.
Giorgio van Straten è Direttore dellʼIstituto Italiano di Cultura a New York.
Dall’alto: Giorgio van Straten nel suo studio. Con Marina Abramovic e Marco Anelli. Per tutte courtesy Giorgio van Straten.
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