LA TERRA INQUIETA
La Triennale – Milano
– Andrea Contin
“La Terra Inquieta”, mostra sul tema dei migranti e delle migrazioni curata da Massimiliano Gioni per la Fondazione Nicola Trussardi alla Triennale di Milano, è un progetto ambizioso e, almeno sulla carta, dalle solide basi concettuali. È quindi interessante ed estremamente utile approcciare la mostra partendo dai presupposti con cui lo stesso curatore delinea un percorso che, altrimenti, rischierebbe di travolgere lo spettatore per dimensioni ed eterogeneità.
Punto di partenza sono le riflessioni dello storico dellʼarte T.J. Demos, che rivendica un doppio ruolo per le immagini – viste sia come rappresentazioni di conflitti che come conflitto di rappresentazioni – coltivando il concetto di verità come processo di condivisione e negoziazione. Verità, che non esiste se non come risultato di una contrattazione sociale, per cui la fotografia, così come ogni altra immagine, è sempre monumento prima che documento, come mostra il video how to make a refugee di Phil Collins che svela la costruzione del set da cui nascerà lʼimmagine del rifugiato da servire in pasto al pubblico occidentale. Condivisione e negoziazione, che non sono parole vuote o concetti teorici ma strumenti sociali di costruzione di nuove realtà estremamente concrete e, a questo punto, indispensabili. Ma, nonostante le intenzioni, quello stesso conflitto creativo che storicamente ha rappresentato il territorio di contrattazione in cui la comprensione reciproca può realizzarsi, sembra in parte mancare. Allora, per trovare una diversa chiave di lettura, proviamo ad affidarci allo sguardo degli ospiti del progetto SPRAR del Comune di Milano, uomini e donne che hanno vissuto direttamente la terrificante realtà sulla cui rappresentazione questa mostra dibatte, che hanno visitato la mostra in occasione della recente Giornata Mondiale del Rifugiato. Passando da soggetto a fruitori, i migranti hanno costruito in itinere un percorso senza conformismi culturali né piaggerie di sorta. Si sono allontanati inquieti davanti ai frame televisivi dei barconi stipati di umanità disperata raccolti da Xaviera Simmons. Hanno goduto del messaggio di speranza dei bimbi filmati da Francis Alÿs che, con le loro barchette fatte con ciabatte di ogni foggia, creano un ponte ideale tra le due sponde dello Stretto di Gibilterra. Hanno vissuto con grande partecipazione il progetto dellʼartista marocchina Bouchra Kahalili, in cui voci di migranti raccontano i loro viaggi, mentre le loro mani mostrano tappa per tappa i punti geografici della loro Odissea, poi raccolti come fossero stelle per formare una costellazione universale dei movimenti di massa. Si sono commossi ascoltando la voce struggente della cantante della Guinea Mamadama Bangoura – lei stessa ospite del progetto – che canta di due innamorati che, nonostante le preoccupazioni e le paure dei loro cari, decidono di partire dal loro villaggio attraversando il fiume, dove il loro amore “cadrà nelle acque” assieme a loro.
Non sono queste le sole opere ad essere degne di nota e spunto di riflessione. Sono semplicemente le tappe di uno dei moltissimi percorsi possibili allʼinterno di questa mostra che, nella sua innegabile vastità di ricerca, può innescare nel visitatore un meccanismo di immedesimazione e di riflessione che non può che rivelarsi, alla fine, virtuoso a prescindere.
Meschac Gaba, MEMORIALE AUX REFUGIES NOYEES-MEMORIAL FOR DROWNED REFUGEES, 2016. Blankets, three electric lanterns, dimensions variable. Courtesy Meschac Gaba and Tanya Bonakdar Gallery, New York. Xaviera Simmons, SUPERUNKNOWN (ALIVE IN THE), 2010. Forty colour photographs, 50.8×76.2 cm each. Collection Leslie & Gregory Ferrero, Miami. Courtesy David Castillo Gallery. Courtesy © Gianluca Di Ioia – La Triennale.
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