L’elogio del frammento nell’opera di Rosario Bruno | Intervista a Sandra Tornetta

di Loredana Barillaro |

Sandra, parlare con Rosario Bruno è come tornare ad un porto sicuro, le sue parole e la sua esperienza sono un po’ come un faro per te, è così?

Sandra Tornetta/ La prima volta che ho parlato con Rosario Bruno fu in occasione di una collettiva che ho organizzato a Sciacca nel 2019. L’esposizione si chiamava Via crucis e avevo chiesto ad alcuni artisti di interpretare il loro rapporto con la sofferenza. Abbiamo iniziato così un lungo dialogo che si è poi trasformato nel racconto-intervista del libro, un percorso che mi ha permesso di approfondire non soltanto il linguaggio poetico del Bruno artista ma anche lo spessore morale dell’uomo, con il quale ho scoperto di avere molto in comune. Un idem sentire che si riverbera nelle nostre concezioni politiche, in un’idea direi anacronisticamente integra della vita, così come in una certa visione spirituale del mondo e quindi dell’arte. Ho percorso per circa due anni il corridoio di casa Bruno, una selva dantesca dai colori pastello traboccante di facce che mi hanno fatto ora sorridere ora commuovere: ritratti di personaggi storici, amici, autoritratti in serie, carte da gioco, fumetti dalle pose parossistiche. Opere sulle quali molte volte ha indugiato la mia mano per godere della vibrazione tattile che la carta produce sulla pelle delle dita, la carta materia umile, vivente, sulla quale agisce l’artista che la fa e la disfa per fare affiorare il sentimento del tempo che ne determina la sua stessa caducità.

Quanto è importante il concetto di tempo nel lavoro dell’artista?

ST/ Il concetto di tempo è uno dei cardini essenziali senza il quale l’interpretazione del suo linguaggio sembrerebbe priva di quella connotazione che invece lo rende unico. In primo luogo il tempo necessario alla creazione dell’opera è un tempo lungo e lento, direi quasi speculativo: viene creato un tutto tondo, sul quale si costruisce un calco che poi viene aperto e riempito in negativo di fogli, veline, cartoni, stoffe, fino al concepimento di una forma, della quale si avrà esplicita contezza solo alla fine del procedimento, quando viene estratta fuori da una sorta di guscio-uovo dentro al quale ha maturato i suoi colori durante l’asciugatura. Un processo creativo che punta dritto all’essenza ma con la libertà del giuoco-lavoro, una sorta di rituale che l’artista stesso definisce “progressioni rituali del lavoro felice”. Emerge infatti un valore quasi messianico dell’artista-demiurgo che manipola la materia confrontandosi proprio con la dimensione temporale sia durante l’ideazione e la creazione dell’opera, che nella scelta stessa di un materiale che essendo vivo è per sua natura perituro, effimero, in totale accordo con la tesi heideggeriana secondo cui il tempo è “l’essenza stessa della vita umana”.

Nel libro affermi che la poetica e il fare di Rosario Bruno si collocano a metà fra l’arte povera e una certa pop art, cosa prende dall’uno e cosa dall’altro?

ST/ Condivide con il linguaggio dell’arte povera l’intervento diretto del materiale nell’arte senza la necessità di una mediazione mimetica. Infatti l’utilizzo di un materiale semplice e di uso quotidiano come la carta, colloca l’artista all’interno di un’azione rifondativa della realtà, nella quale come un alchimista mescola i prodotti dell’esistente e li traduce in nuovi concetti che vivono una vita propria, indipendente da ciò che erano prima dell’intervento artistico, che procedendo per accumulo prima e per sottrazione poi, mima in un certo qual modo i processi generativi della natura stessa ed anche in questo senso si può trovare un punto di contatto con il movimento dell’arte povera. D’altro canto, il linguaggio particolarissimo di Bruno non potrebbe esistere senza il lavoro di desemantizzazione dell’icona proprio della pop-art. Ma mentre la pop art agisce per sottolineare dinamiche sociali, economiche, consumistiche tipiche dell’Occidente capitalista, il linguaggio di Bruno usa la forma iconica solo come passaggio, un ductus da seguire per permettere al significato di estrinsecarsi da sè. La forma diventa dunque solo un pretesto giocoso e liberata dalla coercizione di afferire forzatamente ad un unico significato percettivo, viene frantumata e prende vigore proprio in virtù del suo sentirsi frammento, attraverso il quale può manifestare il mistero semantico che essa possiede in nuce.

Il frammento è un po’ il concetto che usiamo per legare il passato alla contemporaneità; il processo creativo del Maestro Bruno si fonda proprio sulla frammentazione dell’opera stessa, ecco, quanto può essere contemporanea la ricerca condotta nel corso degli anni dall’artista?

ST/ Il linguaggio di Bruno è fatto di segni, di frammenti di materia che pur recuperando una certa misura di artigianalità tipica della cosiddetta “officina Italia”, si liberano dalla costrizione della forma, diventando concetto. Un sistema di segni che si sganciano dalla loro specificità di costruire significati e diventano soggetti autonomi, astratti. Il processo di distruzione dell’idolo-icona è una destrutturazione necessaria per comprendere la nuova rappresentazione del mondo che possiamo percepire attraverso le opere di Bruno, un ironico monito che ci invita a sentire la vita solo per frammenti, nell’ottica postmoderna secondo cui l’uomo, incapace di recepire l’esistenza se non nella sua parzialità, non è ancora in grado di gestirne le incongruenze intrinseche quando invece in ogni singolo frammento c’è tutto, o come dice Susan Sontag “ il frammento indica gli scarti, gli spazi e i silenzi fra le cose”.

Nel libro emerge in maniera forte il rapporto con la Sicilia, terra dell’artista, che ha profondamente influito sul suo percorso, me ne parli?

ST/ Certamente la Sicilia è stata la cornice di senso entro cui si è affinata la ricerca di Bruno, soprattutto rispetto ad una certa idea di umorismo tragico che sembrano suggerirci le opere in cui tagli violenti e colori zuccherini convivono amabilmente. Di certo vi è un legame forte con la natura, con alcuni archetipi della natura, per cui più che di artista siciliano io parlerei di artista mediterraneo, nel senso in cui ci si può sentire affini a certi linguaggi propri di questa precisa parte di mondo che si nutre ancora di reminiscenze e di rovine. Lo stesso Bruno parlando delle sue creazioni le ha più volte definite “ archeologia del moderno”, ponendo in essere sia la centralità delle sue radici classiche sia l’incontro con la forza rivoluzionaria dell’astrattismo americano.

Dall’alto: un ritratto di Sandra Tornetta. La copertina del libro “Rosario Bruno. Elogio del frammento”.

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