di Loredana Barillaro |
Fino al 17 settembre è in corso la mostra di Angelo Gueli, dal titolo “PHAROS. Tra tratto e ri_Tratto” negli spazi della Galleria Immaginaria, in via Guelfa a Firenze. In un’ambientazione fatta di spazi bianchi e pareti ricolme di libri (la Galleria infatti è anche punto Einaudi) si collocano numerose opere realizzate a china su carta. Sono molteplici le chiavi di lettura che ci propone l’artista, passo dopo passo emerge ciò che lo ha condotto alla realizzazione di queste opere, molto ha fatto la sua formazione di architetto, ma anche il suo passato di pittore e l’amore per la scultura, nonché l’abilità di chi non ha paura di incorrere nell’errore, non ha paura di accettarlo come parte fondante del suo processo creativo.
Pharos è esattamente questo, la raffigurazione di uno specifico elemento architettonico, il faro. Ma qui esso non ha – così come ci dice Angelo Gueli – alcuna funzione abitativa, la sola è quella salvifica, di accoglienza e di indirizzo per coloro che vanno per mare, per chi ha necessità di raggiungere un punto fermo nel suo peregrinare. Sono dunque architetture fantastiche quelle che vediamo, esse sono ricche di fascino, ci appaiono surreali, ma alla loro base vi sono veri progetti architettonici, con tanto di schemi e calcoli – a partire da annotazioni su preziosi taccuini – tali da consentirne la costruzione.
Ciò che colpisce è dunque la perizia dell’artista, il suo amore per il dettaglio, l’elemento inaspettato; i meandri di un’architettura in cui sembra quasi di poter entrare e perdersi, il mettere insieme particolari minuti atti a raccontare una storia complessa, quasi come all’interno di un rebus. E l’elemento architettonico – intriso della sicilianità dell’artista – migra verso la figura, ancora una volta in forma di scultura classica, a cui tanta arte moderna e contemporanea si è ispirata; Angelo Gueli però non può definirsi un postmoderno, egli ne è certo, lo specifica con forza quando dice che nel suo lavoro il riferimento al passato, all’arte antica, significa “riportare al centro il “senso dell’umano” nella sua parte spirituale, nella sua componente “religiosa”, intendendo la religiosità come uno strumento, non dogmatico, di ricerca del trascendente. Ordini architettonici e frammenti di architetture antiche come un mezzo per raccontare l’insondabile profondità dell’esperienza umana.”
C’è la letteratura, come nel lavoro Clarice, trascrizione de Le città invisibili di Italo Calvino, e c’è la leggenda, come nel lavoro Syrakosia di cui egli narra un’affascinante storia, la leggenda di “un’antica nave, una nave mitica il cui progetto sembra che abbia coinvolto anche il siracusano Archimede”. E c’è un elemento alla base – anche formale – della maggior parte le opere in mostra, il mare, un mare che non sappiamo se faccia sorgere o sia in procinto di ingoiare ogni cosa.
Non si può non ascoltare l’incredibile racconto che Angelo Gueli fa del suo lavoro, un lavoro capace di condensare in immagine un’articolata narrazione, in cui egli introduce lo straniamento, e che ci accompagna all’esplorazione di luoghi fantastici, mitologici, ci incita a proseguire la visione quale fosse un viaggio di scoperta per approdare a mondi impossibili ma che, proprio per questo, possono aprirsi ad infinite opportunità.
Dall’alto:Syrakosia, 2023. 100×70 cm. The Kraken 2021. 42X59,4 cm. Per entrambe courtesy l’artista.
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