Francesco Carone – Gregorio Raspa
“Non è dato a tutti accostarsi agli estremi, sia in un senso che in un altro”. Amava esprimersi così il Conte di Lautréamont alludendo all’incapacità, diffusa tra gli uomini, di leggere la realtà in modo alternativo, spesso improbabile. Ciò non riguarda Francesco Carone, artista ludico e visionario, che ama sorprendersi e sorprendere, guardando il mondo da prospettive inedite.
La ricerca di questo giovane artista senese, infatti, nasce da una riflessione sulla natura degli oggetti, dal significato e dalla funzione che questi assumono nella società contemporanea.
Attraverso l’utilizzo di un processo artistico che mette in discussione il ruolo ordinario delle cose, ed il processo d’interazione dello spettatore con l’opera d’arte, Francesco Carone elabora modalità alternative di metabolizzazione dell’universo.
Nelle sue opere, il confine che separa il reale dall’esistente, e quest’ultimo dall’apparente, viene continuamente rivisto, volutamente alterato. Nelle immagini proposte da Carone, tutte le verità vacillano assumendo la vacua consistenza della bugia.
Se le opere dell’artista senese, da un lato, ostentano un evidente debito con la lunga tradizione del ready-made e dell’objet trouvé, dall’altro, mostrano evidenti richiami concettuali alle tautologie semantiche di Joseph Kosuth. È dall’intreccio di simili ed eterogenee operazioni artistiche, non sempre sovrapponibili, che nascono inattese visioni. Queste invitano l’osservatore a superare i limiti imposti dalle convenzioni, a bucare lo strato più superficiale del pensiero dominante. Infatti mediante insoliti esperimenti di rappresentazione del mondo, l’artista senese sabota la realtà mandando in frantumi le certezze acquisite. Carone fa ciò, ad esempio, svelando allo spettatore la somiglianza esistente tra una calotta cranica e una noce di cocco, tra un Totem sacro ed una banale accumulazione di scale ridisegnando, attraverso simili azioni, la linea di demarcazione che distingue un’apparenza da un’essenza, un significato da un simbolo.
Al cospetto di tali sfide percettive, lo spettatore è indotto a cimentarsi in destabilizzanti cortocircuiti mentali destinati a risolversi solo attraverso la personale elaborazione cognitiva delle immagini. È così che l’opera diviene concettualmente mutevole, visibilmente instabile.
Perché i lavori di Carone sfidano la “visibilità” delle cose mimetizzandosi nel mondo, fingendosi inesistenti, casuali. Come le installazioni proposte in occasione della personale “Rendezvous des amis”, opere che insistono, nei locali del Palazzo Pubblico di Siena, come silenziosi simboli della storia che separa la nostra civiltà da quella rappresentata nei maestosi affreschi di Simone Martini.
Ma è proprio il “rendezvous”, l’incontro, che fornisce la chiave di accesso al lavoro di Francesco Carone.
È infatti dall’avvicinamento di realtà apparentemente estranee, dallo scambio reciproco di percezioni, dall’incidente di significati che nascono i richiami alchemici delle opere che inducono a riflettere sulla circolarità del processo creativo, sempre incline a rincorrere se stesso, e sulle sue infinite conseguenze linguistiche.
Horror Vacui, 2010. EX3, Centro per l’arte contemporanea, Firenze, veduta della mostra. Foto: Serge Domingie. Courtesy SpazioA, Pistoia.