di Sandra Tornetta |
a cura di Agata Polizzi
Con opere di Yuri Ancarani, Per Barclay, Silvia Giambrone, Joanna Piotrowska, Genuardi/Ruta, Chen Zhen
fino al 3 marzo 2024
ZACentrale, Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo
Resterà aperta fino al 3 marzo 2024 la mostra dal titolo “Giorni Felici?” presso i Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo. Intanto, il posto: il padiglione ZAC che ospita l’esposizione è uno dei tanti spazi in cui convivono sedimentazione e sperimentazione, un contenitore che già da solo vale l’intera visita. Si tratta infatti di un isolato posto al centro di uno dei quartieri più antichi di Palermo, vicinissimo al castello della Zisa, esotica riserva di caccia di Guglielmo II. I Cantieri Culturali nascono nel luogo dove all’inizio del Novecento, durante quella che da molti viene definita l’età dell’oro di Palermo, il visionario Ducrot installò la sua fabbrica di mobili, le famigerate Officine Ducrot che hanno fatto la storia del Liberty. In seguito alla chiusura delle fabbriche, l’intero quartiere subì un progressivo degrado fino al 1995, anno in cui venne varato questo progetto di recupero urbanistico-culturale che ha contribuito a contrastare il fenomeno della gentrificazione e ha contestualmente acceso i riflettori su nuove modalità di costruire cultura, ibridando forme, soluzioni, progettualità, soprattutto comunità, grazie anche a numerose collaborazioni con enti, sia pubblici che privati, come la Fondazione Merz di Torino.
La mostra, a partire dal titolo fortemente provocatorio, stimola la ricognizione di un immaginario collettivo perennemente frustrato dalla ricerca della felicità. La curatrice Agata Polizzi, partendo infatti dalle suggestioni di un romanzo del 2001 di Alan Bennett, The Clothes They Stood Up In, si interroga e ci interroga: è davvero questa la vita che vogliamo? Il percorso della mostra è concepito come un continuo dialogo fra il sé e la collettività, fra l’io e il mondo. Accoglie il visitatore Mirror, di Silvia Giambrone, una serie di specchi dalle cui superfici di cera spuntano delle spine acuminate, opera necessaria e potente sulle tematiche legate non solo all’immagine ma all’idea che ognuno si costruisce del proprio io, un’identità non sempre benevola con cui occorre fare i conti anche quando ciò significa procurarsi delle ferite che sarà difficile sanare. Centrata sull’idea fallace di serenità, l’opera di Chen Zhen, Jardin Lavoir, in cui il letto, baricentro delle sicurezze familiari, si trasforma in uno scheletro di memorie, oggetti quotidiani privati della loro funzione dal magma liquido nel quale sono sommersi, che li purifica ma al contempo li depotenzia. Un’analoga riflessione sulla presunta felicità che si nutre delle quattro mura domestiche è quella suggerita dall’installazione Senza Titolo di Per Barclay, una casa dalle pareti fragilissime e trasparenti, dove tutto si vede ed è visto, attraverso la presenza ancora una volta dell’elemento liquido, che nel suo continuo fluire racconta il mistero della vita. Anche il film di Yuri Ancarani, Séance, propone l’idea di famiglia come nido/prigione, mostrando intimità evanescenti e misteriose che incutono un che di perturbante all’occhio dello spettatore. Completano il percorso le opere fotografiche di Joanna Piotrowska, scatti che immortalano il gioco infantile del costruire una capanna, metafora di un’innocenza che a volte si fa rifugio, altre angusta gabbia. Uno sprazzo di vitalità l’opera di Genuardi-Ruta, Vestita di color di fiamma viva, una macrosezione fitomorfa da cui fuoriescono delle gemme annunciatrici di nuova vita.
E, si sa, finché c’è vita c’è speranza.
Dall’alto: Silvia Giambrone, Mirror, 2019-2023. Foto © S. Tornetta. Chen Zhen, Jardin-Lavoir, 2000, courtesy Galleria Continua. Foto © Roberto Boccaccino. Per Barclay, Senza titolo, 1992. Genuardi-Ruta, Vestita di color di fiamma viva, 2023. Foto © S. Tornetta. Per tutte courtesy Fondazione Merz.
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