IMMAGINARI E CONSAPEVOLEZZE | Intervista a Franco Raggi

di Angelo Minisci |

Come definiresti il tuo lavoro e le tue ricerche nel progetto?

Franco Raggi/ Il mio è un lavoro di tipo nomade, mentalmente nomade, trasversale, non sono uno specialista, non amo gli specialismi, credo che gli specialismi separino, dividano la realtà in modo improduttivo e non permettano la comprensione delle relazioni profonde tra le cose. Anche se ho studiato architettura, non mi sono occupato in maniera professionale di architettura sin dall’inizio, bensì di giornalismo e scrittura. Attraverso questo approccio mi sono, in un certo senso, ri-formato.

Nel 1974 realizzi la tua Tenda rossa, com’è  nato questo progetto?

FR/ Premetto che all’esame di disegno presi 18/30, il minimo. Come dire, mi avevano sconsigliato di proseguire, non dico nell’attività di architetto, ma quasi. Evidentemente il docente aveva le sue ragioni. Forse non avevo ancora capito che cosa potesse essere l’indagine concettuale che si può fare attraverso il disegno nel campo dell’architettura. La “visione” della Tenda rossa nasce nel ’74 quasi come uno schizzo fatto al telefono, in una sorta di condizione in cui la mente vaga. In quel primo disegno, non so perché, mi veniva in mente il tempio greco, il tempio Dorico. Erano delle speculazioni di ricerca sul linguaggio dell’architettura classica, come fosse una certezza, come una forma di stabilità attraverso la quale il potere si può rappresentare in modo universale. Allora io, il tempio Dorico, lo dipinsi su una tenda nomade poiché mi interessavano gli accostamenti di elementi diversi, di opposti, facevo quindi dei disegni su questi attriti. Così ho cominciato a capire che il disegno era una forma di riflessione e divulgazione molto forte. Poi a un certo punto la tenda l’ho costruita, non perché qualcuno me l’avesse chiesto, ma perché sentivo che fare una cosa con le proprie mani, come fa l’artista, era un passo importante, uno scontro con la qualità tecnica del fare. Era un oggetto semplice da fare e lo feci in modo un po’ brutale, con dei lenzuoli trovati e tinti di rosso e poi il tempio approssimativo disegnato a mano con le colonne convergenti in un punto lontano. È stata la mia prima opera di grandi dimensioni, il progetto che capii di voler vedere realizzato. Un progetto inutile però fondamentale. Un ossimoro architettonico. Stabile/instabile, ricco/povero, pesante/leggero. È strano come certe idee non vengano a te ma sei tu che quasi vieni a loro involontariamente. Fu fatta e montata una domenica di pomeriggio in una campagna orizzontale, a sud di Milano.

Quali sono stati i tuoi rapporti con l’architettura radical e il conseguente design nato e sviluppatosi in quel periodo.

FR/ Il mio rapporto con la cultura radicale avviene tramite la rivista Casabella, dove Sandro Mendini, conosciuto occasionalmente su un treno, mi invitò a collaborare nella nuova redazione; avevo ricominciato a studiare, poiché con la formazione che avevo da architetto mi mancava tutta una serie di sguardi che la facoltà di architettura di Milano, a quell’epoca, non aveva sul mondo esterno. In realtà io non ho mai fatto il critico, nel senso di critico specialista militante. Ho fatto forse l’osservatore e il cronista, usando la mia curiosità come un viatico per indagare il mondo del progetto con un occhio antiaccademico, cercando di scoprire modi di fare capaci di interpretare la trasgressione come una condizione utile.

Come vedi il futuro del design?

FR/ Il futuro lo vedo come una grande nuvola piena di segni che vaga senza progetto. Una sorta di autocelebrazione dedicata al consumo, lo vedo sempre più scarico della sua connotazione antropologica profonda. Bisogna ritornare ad una riflessione forte del progetto. In realtà, posso dire che il modo migliore per fare previsioni è quello di guardare al passato, intendo un passato recente nel quale già sono presenti le criticità e le questioni che anche oggi si pongono a chi opera come progettista con l’intento di migliorare lo stato delle cose e il nostro rapporto con lo spazio abitato.  Forse, dove il design è anche rifiuto, visione, rischio, spiazzamento semantico è, in una parola, politico.

 

Franco Raggi è Architetto e Designer, è stato redattore di Casabella e direttore della rivista di design MODO.

TENDA ROSSA, 1976. Courtesy Franco Raggi.

(pubblicato alla pagina 14 del n. 47, luglio-settembre 2023, di SMALL ZINE)

 

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