Dal Vero | Fotografia svizzera del XIX secolo

a cura di Martin Gasser e Sylvie Henguely

dal 3 aprile sino al  3 luglio 2022

Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano

MASI | LAC

Il MASI Lugano presenta “Dal vero. Fotografia svizzera del XIX secolo”. La mostra è la prima panoramica esaustiva dedicata ai primi cinquant’anni di diffusione del medium fotografico in Svizzera e presenta importanti opere storiche mai esposte prima d’ora, come la prima fotografia in assoluto del Cervino e le più antiche foto scattate nel Cantone Ticino. La sensazione data dalla nuova esperienza visiva, l’immediato scambio tra arte e fotografia, il suo ruolo chiave nello sviluppo del turismo, il suo impiego come testimonianza degli usi e costumi locali e nell’ambito industriale e scientifico sono alcuni dei focus tematici esplorati dalla mostra. La storia della diffusione della fotografia in Svizzera viene così delineata in un percorso approfondito e piacevole al contempo, che abbraccia oltre 400 opere fotografiche dal 1839 agli anni ’90 dell’Ottocento – molte delle quali mai esposte prima – provenienti da oltre 60 collezioni pubbliche e private. I differenti accenti nelle diverse zone e regioni linguistiche del paese tratteggiano così il carattere progressista e lo sviluppo dinamico del giovane stato federale nell’Europa dell’Ottocento.

La mostra è coprodotta con Fotostiftung Schweiz, Winterthur e Photo Elysée, Losanna, ed è ospitata nella sede del MASI Lugano presso il LAC.

“Specchio dotato di memoria”: così veniva definito il dagherrotipo, procedimento fotografico di sviluppo delle immagini su lastra di rame, uniche e non riproducibili. Questa tecnica raggiunge la Svizzera, anche quella più interna, grazie a fotografi itineranti, che con le loro pesanti macchine fotografiche realizzano immagini chiare e precise, secondo natura, appunto, “dal vero”.

Nelle sezioni iniziali della mostra, dedicate agli esordi della fotografia e quindi alla dagherrotipia, spiccano, tra gli altri, alcuni maestri svizzeri di quest’arte come il banchiere, diplomatico e dilettante ginevrino Jean-Gabriel Eynard e l’incisore Johann Baptist Isenring, celebre per i ritratti dagherrotipi a “grandezza naturale”. Emerge chiaro come, nei suoi primi passi, anche in Svizzera la fotografia fosse ancora fortemente intrecciata – per la scelta dei soggetti, principi compositivi e utilizzo – con le altre arti, in particolare la pittura, a cui si sostituirà come valida alternativa per ritratti economici. Ma anche con le arti grafiche, di cui si mette al servizio. Proprio Isenring diffonderà infatti in Svizzera l’utilizzo della fotografia come modello per incisioni, tecnica impiegata anche dalla prima fotografa donna, Franziska Möllinger, nelle sue vedute svizzere pubblicate come litografie dal 1844. Risale invece al 1842 uno dei rari dagherrotipi conosciuti del Ticino, il ritratto di un giovane sconosciuto ed elegantemente vestito – esempio lucente della borghesia in ascesa – realizzato a Lugano.

Grazie allo sguardo esterno, quello dei viaggiatori, comincia a essere immortalata la grandiosità del paesaggio svizzero e delle sue montagne. Sorprende il taglio incredibilmente moderno degli spettacolari dagherrotipi dell’artista inglese John Ruskin, che realizza le prime fotografie del Ticino, come quella di una roccia vicino al Castelgrande di Bellinzona (1858) o, nel 1849, la prima immagine mai scattata del Cervino. Di lì a breve, la fotografia si rivelerà un veicolo potentissimo per la pubblicità turistica, processo favorito dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto svizzere, che va di pari passo con la semplificazione del processo fotografico (grazie all’uso dei negativi in vetro e stampe all’albumina). Nascono così motivi popolari e “mete” turistiche, come la cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen, immortalata nell’immagine dell’inglese Francis Frith, del 1863. È dell’anno seguente una foto mozzafiato del celebre fotografo francese Adolphe Braun, che cattura le infinite distese del ghiacciaio del Rodano attraversato da un gruppo di scalatori, tra cui anche una donna.

Se da un lato la fotografia è al servizio dell’apertura internazionale, dall’altro essa è impiegata anche per creare un’identità svizzera idealizzata, che deve distinguersi dallo straniero. Questo fenomeno è evidente nella serie “Customes Suisses” (1875 ca) di Traugott Richard, con tipi contadini e ragazze in un costume tradizionale che non corrisponde a nessuna realtà. Ma, prima che altrove, la fotografia è utilizzata in Svizzera per identificare lo straniero e il diverso all’interno dei confini del Paese. In mostra, un corpus unico di ritratti su carta salata segna l’inizio della cosiddetta fotografia segnaletica: si tratta di ritratti di senza tetto e nomadi, realizzati nel 1852-53 dallo stesso Carl Durheim – persone che, dopo la fondazione dello stato nel 1848, vengono spostate da un cantone all’altro senza essere accettate. Un’altra sezione mette in luce la fotografia come professione e l’emergere di studi di ritratti locali negli anni ’50 dell’Ottocento, fenomeno che porterà a una facile commercializzazione e standardizzazione delle immagini. Anche i fratelli Taeschler di San Gallo approfittarono di questa tendenza. Eppure lo scatto più impressionante è quello, su tutt’altro registro, del loro fratellastro Carl, che, come in un’istantanea, catturò un gruppo di soldati francesi internati nella Chiesa di St. Mangen nel 1871, durante il conflitto franco-prussiano.

In un’ampia sezione alla fine del percorso della mostra è evidenziato il ruolo della fotografia, dalla fine degli anni ’60 dell’Ottocento, nel documentare la scienza, la medicina, gli sviluppi tecnici e lo sviluppo urbano ed idraulico del territorio svizzero. Nel campo della medicina, impressionano le fotografie di Emil Pricam di pazienti prima e dopo un’operazione, o la documentazione sistematica di orecchie malformate di Robert Schucht. La costruzione della ferrovia del Gottardo nel 1872-82, documentata, tra gli altri, dallo stesso Adolphe Braun, è considerata un primo esempio di costruzione all’avanguardia e progressista nella Svizzera dell’Ottocento. Un progetto enorme, che avrebbe cambiato permanentemente lo sviluppo urbano ed idraulico del territorio svizzero. Sono parte della mostra anche un video con le interviste al curatore Martin Gasser e alla curatrice Sylvie Henguely e un video sui dagherrotipi e le tecniche fotografiche, con la restauratrice Sandra Petrillo. La mostra è accompagnata da una pubblicazione esaustiva disponibile in tedesco e francese edita da Steidl Verlag, Göttingen.

Per info:

MASI | LAC, Lugano

www.masilugano.ch

Uffici stampa:

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Adolphe Braun, Il ghiacciaio del Rodano, 1864, Albumina. ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

 

 

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