La ricerca di Paolo Cavinato si contraddistingue per un particolare approccio allo spazio; quello dell’opera e quello espositivo. Attraverso una pluralità di tecniche, lo spazio, declinato come vuoto, si configura quale parte attiva nella costituzione delle sue opere, costantemente impostate su rapporti geometrici rigorosi. Secondo questa metodologia, Cavinato, definendo strutture complesse, approfondisce i concetti di limite e di soglia, autentici comuni denominatori estetici della sua sperimentazione. Leggiamo, dalle sue parole, l’entità di questi metodi e temi nello svolgimento del suo lavoro.
Davide Silvioli/ Nel tuo lavoro, complessivamente, il ricorso alla geometria è aspetto portante. Quali sono le ragioni alla base del tuo interesse per questa disciplina in ambito di ricerca artistica?
Paolo Cavinato/ La continua riflessione sullo spazio e la sua ricostruzione o rappresentazione mi hanno condotto al suo calcolo e alla progettazione del vuoto. Così, la geometria come evidente proiezione della matematica, è necessaria all’uomo per costruire quell’edificio protettivo in un mondo in costante mutamento e divenire.
Ordine per arginare il caos. Allora, che cos’è questo Ordine e che cos’è questo Caos? Ma anche il caos potrebbe avere un suo ordine, solo che noi, nella nostra dimensione spazio-temporale non riusciamo a coglierlo, se non armati di strumenti necessari; vogliamo o cerchiamo di analizzarlo o controllarlo. In fondo, credo, cerchiamo di allontanare la paura, camminando sul bordo che si frappone tra ragione e follia. Probabilmente la geometria è questo voler rimandare il momento dello schianto.
DS/ Sia nella grande che nella piccola dimensione, le tue opere dimostrano un rapporto non secondario con lo spazio e con il luogo espositivo. Come si inserisce questo legame nel tuo lavoro?
PC/ Il luogo espositivo diviene anche luogo fondamentale per la riflessione e progettazione. Il luogo ha sue caratteristiche ben definite di luminosità, dimensioni, forme, materiali, tracce storiche o tracce di vario tipo, ecc. e la ricerca avviene quindi in relazione alle peculiarità fisiche, percettive o emotive ad esso collegate. Si tratta di capirne punti di forza e altrettante criticità. Mi appassiona molto lavorare nel luogo e sul luogo trovando ogni volta occasione per una nuova esperienza, portare un tassello in più alla ricerca. Così, modificando, aggiungendo o togliendo, cerco di integrare e di far convergere le opere allo spazio creando una sorta di “dimensione altra”, facendo sì che il fruitore si immerga in un nuovo “racconto”. La luce, il sonoro, le realizzazioni plastiche o scultoree diventano elementi immersivi e coinvolgenti della medesima narrazione.
DS/ Su questa base operativa, come si configurano i concetti di “soglia” o “limite” a fondamento della tua ricerca?
PC/ Con gli ultimi progetti è rientrato questo tema fondamentale già affrontato in passato, di soglia o di spazio liminare, di inquadratura e di cesura temporale, di spazio e tempo dell’attesa. L’idea di “limite” innesca il meccanismo come grimaldello del pensiero. Circoscrivere un vuoto e incorniciarlo rimanendo sul bordo ed osservare e meditare il momento dell’attesa. Chiedersi se tutto questo che ci ritroviamo di fronte è pura illusione e se questa “realtà” che viviamo fa parte di una nostra proiezione. Così come nelle Interior Projection, sconosciuti luoghi tra vita e morte, le dimensioni tendono a ribaltarsi o a capovolgersi o in Drops, il fragile lettino pronto a sfaldarsi, persiste in bilico nel breve tempo dell’attesa temporale. O nelle ultimissime Breath, dove il tempo, marcato e ritmato dal respiro, pone domande monolitiche all’incertezza del primo passo non ancora pronunciato. Percepirsi “Soglia” tra passato e futuro. Io sono qui, ora, adesso, spazio liminare tra ciò che sono stato e ciò che sarò. La domanda finale e che ritorna come un mantra è: che cosa determina e costituisce l’individuo?
DS/ Dove ti sta conducendo, attualmente, la sperimentazione?
PC/ Le due mostre attualmente in corso sono un po’ uno spartiacque della ricerca. “Limen”, a Palazzo Te a Mantova, raccoglie una visione ed una sedimentazione di un lavoro portato avanti ormai da diverso tempo, mentre la grande personale “Another Place” in galleria The Flat – Massimo Carasi a Milano è uno sguardo sul futuro e vede raccolte opere realizzate nell’ultimo periodo. Utilizzando tecniche e materiali diversi ho voluto qui sperimentare e pormi in un atteggiamento nuovo e aperto in un periodo così depressivo, incentivando la collaborazione con altre figure professionali, come fabbri, falegnami, laccatori, restauratori, ecc. Così ho sperimentato la cangianza delle vernici, ho ripreso il dinamismo delle luci elaborando nuove sculture con centraline elettriche Led, ho lavorato sull’ambiguità della percezione della realtà e la sua illusione, creando oggetti scultorei del tutto inediti. Ho ripreso il discorso del colore come forma dello spazio.
Dall’alto: KALEIDOSCOPE, 2017. Sala del Pisanello, Palazzo Ducale, Mantova. Foto © Guido Bazzotti. STARGATE #4, 2021. Dettaglio. Foto © Paolo Cavinato. Per entrambe courtesy dell’artista. BREATH #1 e #2, 2021. Veduta della mostra “Another Place” nella galleria The Flat – Massimo Carasi. Foto © Paolo Cavinato. Courtesy Galleria The Flat – Massimo Carasi, Milano.
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