PETER DOIG SBARCA IN LAGUNA
Fondazione Bevilacqua La Masa – Venezia
– Valentina Tebala
Lo scozzese Peter Doig, nato nel 1959 ad Edimburgo, è notoriamente uno dei pittori viventi più quotati al mondo; nel 2014 Christie’s New York ha battuto il suo Pine House (Room for Rent) del 1994 per quasi 13 milioni di euro. È proprio dagli anni Novanta che Doig conquista la scena artistica internazionale con le sue grandi e misteriose imprese pittoriche, senza tuttavia esserne emotivamente o fisicamente assorbito. Pur viaggiando spesso verso Londra, New York e Düsseldorf – dove insegna all’Accademia d’Arte – da più di dieci anni ha scelto di vivere a Trinidad, nei Caraibi: come un moderno Gauguin, meno primordiale e antropologico ma con il quale ha una certa affinità di tavolozza, lascia che la natura del luogo nutra di suggestioni visive e atmosferiche il suo universo pittorico. Magnetico, ruvido, toccante.
Questa ospitata dalla Fondazione Bevilacqua La Masa negli spazi tipicamente veneziani di Palazzetto Tito, è la prima personale dell’artista in Italia, curata da Milovan Farronato e Angela Vettese, che con questa esposizione conclude in bellezza il suo impegno alla Fondazione con cui ha portato a compimento importanti riflessioni sui linguaggi artistici contemporanei, compresa la pittura, presentando le mostre di Marlene Dumas, Richard Hamilton o Enrico David, amico dello stesso Peter Doig. Fu in occasione della mostra di David, nell’estate del 2011, che Doig visitò per la prima volta Palazzetto Tito esprimendo il desiderio di realizzare una sua personale nello stesso contesto e nel medesimo periodo delle giornate inaugurali della Biennale di Venezia. Così – dal 5 maggio al 4 ottobre 2015 – le stanze del palazzetto veneziano ospitano undici dipinti e quattro lavori su carta realizzati dal pittore cinquantacinquenne negli ultimi tre anni, alcuni dei quali creati appositamente e mai esposti prima d’ora.
Senza dubbio, si tratta di una mostra di estrema rilevanza pur nella sua essenziale e compatta struttura; dedicata a chi ama la pittura nel senso classico del termine, a chi sa leggerla e interpretarla nelle sue sorprendenti complessità. Il visitatore è accompagnato per mano nell’immaginario dell’artista: un miscuglio centellinato tra misteriosi scenari onirici con elementi simbolici, misti a paesaggi e descrizioni della natura, e bruschi rimandi ad una retorica del quotidiano più banale e mediatica. Per esempio, è ricorrente (in almeno quattro tele in mostra) il leone, animale leggendario simboleggiante l’energia compressa dei carcerati delle prigioni gialle di Trinidad; il tema dell’acqua e del pescatore notturno – molto moderno – con muta e fiocina; e poi il tema dei travestimenti per il Carnevale di Trinidad, con maschere, cavalieri e cavalli posticci. Ma, appunto, il grande cavallo nero di Horse and Rider ricorda quelli dipinti da Goya; e così come attinge dalla Storia dell’arte, Peter Doig trae i suoi nudi femminili – Nude (1959) – da una rivista per nudisti degli anni Sessanta.
Lo schizzo non è mai a matita ma realizzato con un gessetto o un pennello, mentre i pigmenti puri di colore sono sciolti in solventi, come l’essenza di lavanda, che donano alla pittura un aspetto opaco, intensissimo. Doig interviene sul supporto di grande o piccolo formato (carta o tela che sia) più e più volte, per stratificazioni, prove e ripensamenti; la sua a dire il vero è una pittura concettuale, processuale, che si sviluppa quasi con la stessa fluidità di uno stream of consciousness da riorganizzare.
Dall’alto: NUDE (1959), 2015. Olio su carta, 76,5×56,5 cm. SPEARFISHING, 2013. Olio su tela, 288×200 cm. Per entrambe courtesy dell’artista e Michael Werner Gallery, London and New York.
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