PAINT! PAINT! PAINT! | Intervista a Ludovico Orombelli

a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco

Alberto Ceresoli|Carmela Cosco/ Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?

Ludovico Orombelli/ Durante i miei studi ho costruito un processo creativo che non si limita ai materiali appartenenti al linguaggio pittorico tradizionale. Nello specifico, prendo in prestito la tecnica dello strappo dal restauro che mi permette di intervenire, e di avere un punto di vista esterno, su superfici precedentemente dipinte. Questo processo  porta alla formalizzazione di presenze oggettuali che richiamano immagini e, al contempo, gli spazi fisici e culturali da cui originano. 

AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?

LO/ Lo studio è il luogo in cui le opere prendono forma, ma non l’unico spazio di lavoro. Il processo comincia in contesti esterni, in cui raccolgo oggetti che appartengono al mio immaginario. Tessuti, tappeti, coperte e vestiti sono alcuni elementi che utilizzo, e che faccio interagire con tecniche in grado di condurli in territori nuovi. I lavori recenti nascono da una rivisitazione della tecnica dello strappo, convenzionalmente utilizzata nel restauro per separare, e quindi preservare, affreschi dalle pareti per dislocarli in nuovi siti. Grazie a questa tecnica posso decostruire supporto e pittura, rendendo evidente il loro punto di contatto. Il rovesciamento del quadro ci rivela un interno altrimenti invisibile; un tentativo di stare dietro al quadro per far emergere la pittura come materiale intelligente che ci rivela la sua comprensione di forme e superfici.

AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica. Ci interessa il tuo rapporto con supporti e materiali. Scelte e affezioni?

LO/ Intendo la pittura come una materia che può essere manipolata, spostata e messa in relazione con lo spazio fisico. Come se fosse una pelle, questa riesce ad aderire alle superfici degli oggetti per poi distaccarsene tramite il processo di decostruzione che metto in atto. Il risultato finale sarà, pertanto, una sottile superficie pittorica isolata, ma ancora in grado di evocare la fisicità del suo supporto iniziale. All’interno di queste dinamiche non riesco a pensare al quadro come un elemento a sé stante, perché intrinsecamente legato ai contesti che lo definiscono.  Considero e, a volte, espongo ogni elemento che porta alla nascita del lavoro, dalla matrice originaria agli accessori che utilizzo nel corso della creazione.

AC|CC/ Astrazione o figurazione?

LO/ La distinzione tra astrazione e figurazione non è una questione che influenza le mie scelte. Cerco di assecondare un processo aleatorio che porta a risultati imprevedibili e ogni volta diversi.  Le estensioni pittoriche possono essere estremamente fedeli o, al contrario, distanti dalla realtà che le origina. Ogni risultato, indipendentemente dalla categoria a cui è associato, è per me importante. Un lavoro che si avvicina alla “figurazione” esplicita il rapporto che ricerco tra quadro e oggetto. Un altro, più distante da una riconoscibilità formale, riesce a rivelare altre qualità che non sono evidenti sulla matrice.

AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?

LO/ I lavori cominciano da incontri tattili o visivi con oggetti connotati da qualità fisiche che coincidono con il loro valore d’uso. Lavoro spesso con i tessuti, i tappeti, le trapunte, oggetti che possono entrare in relazione con un processo che indaga la materia pittorica e la sua interazione con presenze e superfici tridimensionali. Di recente mi sono interessato ad artisti che hanno messo in relazione la tradizione pittorica con gli oggetti della società dei consumi. Sto guardando la pop art italiana e, nello specifico, i monocromi di Schifano e i dipinti imbottiti di Cesare Tacchi.

Dall’alto: Ludovico Orombelli, Installation View, 2020. VIR Viafarini-In-Residence, Milano, Italia. Sheepskin, 2020.Ttempera all’uovo su tela pattina, 175×150 cm. VIR Viafarini-In-Residence, Milano, Italia.

© BOX ART & CO.

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