L’INNOCENZA DIMENTICATA
Gehard Demetz
– Gregorio Raspa
Gehard Demetz realizza sculture incentrate sul tema della figura umana, icone ieratiche di un espressionismo imperscrutabile e melanconico. L’artista altoatesino esibisce l’ampia fenomenologia del legno utilizzando tecniche scultoree mutuate dalla lunga tradizione della Val Gardena e opportunamente aggiornate con l’ausilio di un’organizzata prassi metodologica. Le opere di Demetz nascono dall’assemblaggio di piccoli tasselli lignei, elementi primari di un linguaggio di costruzione basato sull’alternanza di processi – perlopiù sequenziali – di accumulazione e sottrazione della materia. La composita anatomia delle sue sculture restituisce il senso di una costante provvisorietà, suggerisce l’epifania di una forma disposta alla metamorfosi o destinata all’imminente dissolvenza. L’effetto visivo che ne consegue mitiga il realismo delle figure pur senza sottrarre intensità alla loro mimesi. Il mancato allineamento dei moduli definisce la frammentarietà di un corpo attraversato da vuoti e cavità, fisicamente segnato dall’assenza di componenti perduti o mai posseduti. In questo contesto, gli elaborati meccanismi di oggettivazione posti in essere dall’artista instaurano una continua dialettica tra il finito e il non-finito, palesano l’intima sostanza di un’ambiguità formale volutamente irrisolta. Quest’ultima caratterizza e qualifica non solo il codice estetico dell’opera, ma anche il suo contenuto concettuale. In tal senso, le sculture di Demetz sembrano proiettare sulla superficie lignea – sconnessa, ruvida o perfettamente levigata – una dimensione interiore che costringe l’osservatore al confronto – commovente e traumatico – con l’archetipo di un’infanzia inquieta e lontana. L’aspetto marziale dei bambini nasconde la trama di una storia sconosciuta, che inevitabilmente rimanda – pur senza legami espliciti – alla crepuscolare tradizione della fiaba mitteleuropea. Tuttavia, più che offrire gli indizi di una narrazione coerente, l’artista costruisce paesaggi psicologici inaccessibili e sfuggenti. Questi ricalcano lo scarto emotivo che divide l’opera dal suo spettatore, evidenziano l’inevitabile lacuna di una comunicazione basata sulla sola sintassi della mimica. In un simile quadro, si avverte il desiderio di decriptare lo sguardo disincantato ed estraneo di questi personaggi; la volontà di comprendere le ragioni celate dietro tanta diffidenza. Eppure, ogni tentativo di avvicinamento al senso appare velleitario rispetto all’immobilità di un mondo percosso da un’angoscia ipnotica e catalizzante. Quanto detto si percepisce, con un livello di urgenza persino maggiore, in tutti quei casi in cui l’artista assegna all’“infanzia” la fisionomia – tutt’altro che innocente – di personalità storiche come Mao o Hitler: maschere pop di un Male reincarnato. Nell’ambito di una ricerca simbolica così stratificata e complessa come quella di Demetz, anche gli oggetti associati ai singoli personaggi – ed evidenziati nell’opera da tinte policrome e/o da vistose laccature – assumono la loro, specifica, finalità semantica. L’artista altoatesino, infatti, riproduce nelle sue composizioni strumenti d’uso comune assegnando loro una funzionalità incongrua – quasi surreale – messa al servizio di enigmatiche azioni dimostrative. Più in generale, il valore attribuito all’oggetto – inteso come veicolo di significati – emerge in altre sculture più recenti, esemplari paradigmatici di un nuovo approccio linguistico e iconografico. Si tratta di opere attraverso cui l’artista reinventa elementi architettonici e liturgici, elabora un’estetica gotica e deformante, sfrutta tutte le possibilità espressive legate alla trasfigurazione della materia.
In primo piano: HITLER, 2007. Legno, 168x37x37 cm; In secondo piano: MAO. Legno, 168x37x37 cm. Courtesy galleriarubin, Milano. Foto © Egon Dejori.
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