INTERVIEWS

ARTE È PARTECIPAZIONE

Elena Forin

– Valentina Tebala

Valentina Tebala/ Elena, ti presenteresti ai lettori di SMALL ZINE? Chi sei e che tipo di ricerca hai condotto fino ad oggi nel campo dell’arte contemporanea?

Elena Forin/ Certamente, con grande piacere! Amo l’arte da sempre, sono cresciuta in una famiglia di collezionisti e da quando avevo vent’anni lavoro nel campo del contemporaneo. Sono un curatore e gli ambiti in cui mi diverto di più sono quelli legati al video, all’installazione, alle pratiche specifiche, sociali e collaborative. Ho approfondito questi “luoghi” della ricerca visiva anche grazie alla piattaforma di LaRete Art Projects, un gruppo di curatrici e amiche con cui condivido da anni idee, progetti e avventure. Insieme abbiamo sviluppato mostre e conferenze che approfondiscono anche dal punto di vista scientifico (e non solo espositivo) le dinamiche della partecipazione e della specificità: essere “caduta ne LaRete” è una delle cose più belle e stimolanti che mi sia capitata. Insieme all’esperienza che ho fatto al MACRO di Roma, naturalmente… che anni meravigliosi quelli! Ho imparato, sofferto, gioito, ho messo a fuoco quello che volevo fare con il mio lavoro, ho iniziato a vedere i territori che volevo esplorare: in quel periodo ho capito che mi interessa verificare cos’è l’autorialità, approfondire le radici storiche dei linguaggi di cui mi occupo, e mettere in discussione i meccanismi espositivi, che analizzo anche con i “Today’s Special”, delle mostre che faccio a casa mia in cui “il piatto del giorno”, per così dire, è l’artista invitato. Infine non posso fare a meno di misurarmi con gli artisti, i curatori e con il loro pensiero: per questo, dato che muoversi nel mondo è difficile per tempo ed economie, ho ideato un programma di cene e pranzi su Skype. “You Are Invited For Dinner” è un formato che punta a creare conversazioni informali sull’arte: perché la distanza non è mai una scusa per non passare il tempo godendo di buon cibo e discutendo di arte!

VT/ “A Blue Love Connection” è un altro progetto di arte partecipativa molto speciale, ce lo racconti? Che obiettivi si prefigge e in che modo si svilupperà?

EF/ Si, lo è davvero. Nasce dal dolore improvviso e dal non senso della violenza: tra le vittime dell’attentato di Barcellona dell’agosto 2017 c’è Luca Russo, mio cugino. Un ragazzo straordinario, puro, responsabile e impegnato nel sociale. Quando è stato strappato alla vita, a soli 25 anni, gli ho fatto una promessa: trasformare la sua perdita in qualcosa di positivo. Non è stato facile, spero però di essere riuscita nel mio intento… In quei giorni terribili mi sono detta che le persone che amano sono di più di quelle che odiano: questo per me è un dato di fatto. E allora come renderci visibili? Se l’odio si esprime annientando vite, luoghi, monumenti e patrimonio umano, come possiamo farci sentire e vedere? Così ho pensato che cambiare il paesaggio sarebbe stato un modo efficace: Luca aveva gli occhi azzurri, e blu è il colore della pace, quindi colorare il mondo piantando fiori blu può essere un modo per affermare il valore più importante oggi, quello della pace appunto. Questo progetto è dedicato a Luca e a tutte le vittime dell’odio cieco: piantate, fotografate e taggate immagini sulla pagina facebook di “A Blue Love Connection” con gli hashtag #ABlueLoveConnection #myheartisblue #wearemore. E abituatevi a pensare in grande: un vaso in casa, sul terrazzo e in giardino vanno benissimo, ma anche le aiuole, i parchi o i boschi possono veicolare questo messaggio. E passate parola più che potete, solo espandendo questa comunità ideale potremo sviluppare idee nuove e dar voce a valori civili e sociali positivi ed edificanti. Non so dirti quindi come si evolverà “A Blue Love Connection”: dipenderà da come e quanto le persone sentiranno indispensabile questo lavoro, e da quanto si attiveranno.

VT/ Unione e condivisione sono due risorse preziose oltre che necessarie sul piano umano e sociale, ma sono anche due pratiche intraprese sempre più di frequente nel campo dell’arte e fra gli artisti che tornano a riunirsi creando progetti o spazi collettivi. Queste pratiche sono strumenti di difesa o di adattamento al contesto contemporaneo?

EF/ Non credo che siano strumenti di difesa: la partecipazione per me è prima di tutto presa di coscienza e di responsabilità. Sta a noi capire e cambiare il mondo, l’arte ha gli strumenti straordinari dell’estetica e della creazione, e con i suoi linguaggi può denunciare, sensibilizzare, proporre, mettere in campo nuove strategie di reazione e cambiamento. Saper guardare e attivarsi per dare il proprio contributo è invece il mezzo che abbiamo tutti per accogliere nuove cause e favorire il cambiamento.

VT/ Quando questa intervista sarà pubblicata l’Italia avrà appena affrontato l’ennesimo cambio di governo, e ogni cittadino si sarà incaricato della responsabilità di aver “scelto” le future prospettive del Paese. Qual è invece la responsabilità quotidiana degli artisti nei confronti della società? In che misura, secondo te, l’arte può riuscire a salvare il mondo?

EF/ Sono due domande molto interessanti, a cui si possono dare tante risposte. Non so se l’arte può salvare il mondo, però senz’altro può aiutarci a coglierne gli aspetti meno evidenti. Molte indagini sono impegnate a far emergere quelle pieghe dell’economia, della società, della politica e in generale del nostro tempo che rimangono – per natura o per volontà – sommerse. È in questo valore di ricerca, di scoperta e di radicalità in cui io credo maggiormente: coscienza e conoscenza ci permettono di illuminare il futuro.

Da sinistra in senso orario: Elena Forin in uno scatto di © Alberto Cocchi. Courtesy Elena Forin. Alessandro Brighetti per “A Blue Love Connection”, durante l’evento RAID Manumission Motel. Courtesy Elena Forin e lartista.

© 2018 BOX ART & CO. 

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