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LʼIMPORTANZA DI UN CIELO AZZURRO

Andrea Tonellotto                                                     

– Loredana Barillaro

Loredana Barillaro/ Dimmi Andrea, perché hai deciso di fotografare con la Polaroid? Forse perché si pone a metà fra il passato recente della fotografia ed un presente “digitale” in cui Instagram è concettualmente e formalmente vicino?

Andrea Tonellotto/ Il motivo principale per cui ho iniziato ad utilizzare la Polaroid è sicuramente per i colori e l’atmosfera che potevo ottenere con le pellicole Artistic TZ, le adoravo. Una volta assuefatto al “metodo polaroid”, ho iniziato ad apprezzare il fatto che dopo aver inquadrato e scattato, il risultato fosse subito pronto, finito ed inalterabile in postproduzione; e questo fa si che ogni foto diventi una sfida davvero intrigante. Senza contare che ogni volta sono sorpreso dalla magia della foto che pian piano compare dal nulla. Non ultimo, in un’epoca in cui tutto, o quasi, è fatto in serie e replicabile, apprezzo l’unicità e la non riproducibilità dello scatto, che per me è un valore aggiunto alla sfida, e al risultato, ovviamente.

LB/ A cosa richiamano il rigore e il minimalismo delle tue ambientazioni?

AT/ Il rigore e il minimalismo delle mie ambientazioni e composizioni vengono da quello che i miei occhi – e la mia testa – vorrebbero vedere in ogni città, odio la confusione, le auto, il disordine. Fin da bambino architettura e arte hanno sempre attirato la mia attenzione, e certamente i quadri di pittori come De Chirico, Sironi, Depero, Mondrian o Hopper – per citarne qualcuno – o il razionalismo in architettura, hanno dato un senso compiuto a quello che mi girava per la testa. Forme geometriche, linee nette, abbinamenti di colori, luci ed ombre hanno sempre acceso e stuzzicato la mia fantasia.

LB/ Cos’è che ti colpisce di un luogo, come scegli gli angoli e i dettagli da “registrare” e cos’è che può differenziare, agli occhi di chi osserva, una serie dall’altra?

AT/ Sono attratto dai recuperi architettonici di vecchie fabbriche o vecchi quartieri e anche le zone industriali delle città mi hanno dato molti spunti. Ma, molto spesso, cammino senza una meta precisa e guardo, l’importante è che ci sia il cielo azzurro e un bel sole, naturalmente il contesto deve essere affine a quello che sto cercando. Per quanto riguarda la differenziazione delle mie serie di foto, i miei ultimi lavori, come silent movie, red and blue, black and red, black and green e paper and sky, sono visibilmente diversi dagli altri, essendo una ricerca su forme e colori, molto cruda e realizzata in molti casi con set autocostruiti. Per quanto riguarda le altre serie, invece, è un mio obiettivo cercare di renderle tutte visivamente affini in quanto ognuna è concepita come un quartiere che, sommato agli altri, va a formare una città ideale – intesa proprio nel senso letterale del termine e non come “risultato a cui ambire” – in continua espansione.

LB/ L’effetto che emerge dai tuoi scatti è di un’atmosfera estremamente rarefatta e di una pacatezza elegante e preziosa, quasi dai toni pastello. Stabilisci, dunque, il risultato che dovrai ottenere, cercando di condizionarlo, o ti affidi alle “capacità” della macchina?

AT/ Assolutamente cerco di condizionare il risultato. Le pellicole istantanee che uso sono molto sensibili, ad esempio, alla temperatura e all’umidità esterne, per cui, in base al risultato che voglio ottenere – e conoscendole ormai abbastanza bene – decido quando andare a fotografare. Chiaramente, trattandosi di pellicole istantanee, la componente “imprevedibilità” è sempre ben presente, e questo è allo stesso tempo fastidioso e avvincente, diciamo fastidiosamente avvincente; succede che il riflesso dovuto ad un’infiltrazione di luce rovini il risultato finale di uno scatto, ma succede anche che il riflesso cada proprio nel posto giusto, dando alla foto quel tocco caratteristico che diventa il punctum dell’opera.

LB/ Raccontami un po’ la genesi del tuo percorso…

AT/ Ho sempre fotografato molto, all’inizio senza un filo logico, poi sempre più consapevolmente. Sono passato dal piccolo formato al piccolo formato “di classe” – Leica, che ancora uso e adoro – per poi passare al medio formato, ammaliato dalla rolleiflex 3,5F col suo formato quadrato, e dalla Hasselblad col suo rigore. Alla fine sono approdato alla Polaroid che unisce formato quadrato, colori pastello e un risultato subito pronto, per uno svogliato come me, il massimo! Ho iniziato ad esporre nel 2010, e da allora ho portato le mie foto a Roma, Milano, Marsiglia, Parigi, Praga, Los Angeles. Inoltre, sono state pubblicate su varie riviste in tutto il mondo e nel 2015 la stilista Giulia Marani ha presentato alla Milano Fashion Week “S/S 2015”, la sua collezione basata interamente sulle mie istantanee. Attualmente sono rappresentato da Heillandi Gallery di Lugano e, da quest’anno, alcune mie foto sono entrate a far parte della prestigiosa “SpallArt Collection” di Salisburgo. In tutti questi anni la mia ricerca, pur non discostandosi molto dal percorso originario, è diventata forse più grafica, e mi piace di più giocare con le forme e i colori, senza, comunque, che questo diventi un’imposizione. Il piacere di camminare senza meta, guardandomi attorno, registrando quello che mi fa dire “eccola , questa è la foto”, è ancora la regola principale che muove il mio lavoro.

Dall’alto: LONELINESS #1. Composizione di 4 impossible project. PISCINA COMUNALE #2. Pellicola impossible project. SILENT MOVIE #77. Pellicola impossible project. Per tutte courtesy Heillandi Gallery, Lugano.

© 2017 BOX ART & CO.

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